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Pizzo sull’appalto per restaurare la Fiumara d’Arte: manette e sequestri

Di Redazione |

MESSINA – Mafia estorsioni e …una cartomante. Sullo sfondo il percorso culturale «del museo all’aperto Fiumara d’Arte» nel Messinese. Sono gli elementi di una nuova inchiesta giudiziaria che stamani ha portato all’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare, eseguita dai carabinieri, nei confronti di 14 persone accusate di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso e trasferimento fraudolento di valori. La «Fiumara» è un museo all’aperto costituito da una serie di sculture di artisti contemporanei ubicate lungo gli argini del fiume Tusa. Nacque quando nel 1982 il mecenate Antonio Presti commissionò a Pietro Consagra la scultura. Negli anni il progetto si andò sviluppando e trasformò la zona lungo la fiumara in un parco di sculture. «0ggi è un giorno di festa nel vedere come quella stessa mafia e le famiglie dei boss che operano nel territorio siano state sconfitte nel tentativo di fare diventare Fiumara d’Arte una vicenda di malaffare e corruzione e nel tentativo di mendicare corruzione e malaffare siano finite sotto processo. Ha vinto la bellezza», dice Presti che in passato è stato anche denunciato perché le sue opere venivano considerate «abusive».

L’inchiesta, coordinata dalla Dda messinese, guidata dal procuratore Maurizio de Lucia, riguarda la famiglia mafiosa di Mistretta e fu avviata a settembre 2015 quando un imprenditore edile si rivolse ai carabinieri segnalando di essere stato vittima di un tentativo di estorsione. Il costruttore si era aggiudicato, in seguito ad una pronuncia del Tar di Catania conseguente ad un suo ricorso, l’appalto indetto dal comune di nel messinese per i lavori di valorizzazione del museo contemporaneo finanziate dalla Comunità Europea con un importo a base d’asta di un milione e aggiudicati alla sua ditta con un’offerta pari ad 802mila euro. La vittima denunciò di essere stato avvicinato dal consigliere comunale di Mistretta, Vincenzo Tamburello che gli avrebbe comunicato che la azienda che aveva ottenuto l’appalto prima del suo ricorso aveva già versato 50mila euro ad alcuni soggetti del luogo che li avevano successivamente restituiti dal momento che l’impresa era stata poi estromessa dai lavori.

Tamburello sarebbe andato a chiedere, secondo l’accusa, ai nuovi aggiudicatari 35mila euro da consegnare a Maria Rampulla, nel frattempo morta, sorella di Pietro ritenuto l’artificiere della strage di Capaci ed all’epoca dei fatti detenuto, e di Sebastiano, storico capo della «famiglia di Mistretta» deceduto nel 2010. Gli ulteriori due complici furono identificati in Giuseppe Lo Re mafioso già sottoposto a misure di prevenzione e la zia di questi, Isabella Di Bella, una cartomante di Acquedolci che, fu contattata dall’imprenditore perché le predicesse l’esito del ricorso al Tar. La «maga» allora, secondo i magistrati, approfittando della situazione aveva convinto l’imprenditore a rivolgersi al congiunto.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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