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Mafia, «l’arresto di Messina Denaro una priorità per indebolire l’organizzazione»

Di Redazione |

ROMA – «Ancora si sottrae alla cattura Matteo Messina Denaro, storico latitante, capo indiscusso delle famiglie mafiose del trapanese, che estende la propria influenza ben al di là dei territori indicati. Il suo arresto non può che costituire una priorità assoluta»: è uno dei passaggi della Relazione 2016 della Direzione nazionale antimafia presentata oggi dal procuratore nazionale Antimafia e Antiterrorismo, Franco Roberti e dalla presidente della Commissione Antimafia, Rosy Bindi.

La Dna ritiene che, nella «situazione di difficoltà di «Cosa Nostra», il venir meno anche di questo punto di riferimento, potrebbe costituire, anche in termini simbolici, così importanti in questi luoghi, un danno enorme per l’organizzazione». 

Anche perché è la stessa Dna a sottoscrivere nella sua Relazione che «Cosa Nostra si presenta tuttora come un’organizzazione solida, fortemente strutturata nel territorio, riconosciuta per autorevolezza da vasti strati della popolazione, dotata ancora di risorse economiche sconfinate ed intatte e dunque più che mai in grado di esercitare un forte controllo sociale ed una presenza diffusa e pervasiva».

A dimostrare l’infiltrazione della mafia nel tessuto economico della Sicilia c’è anche il fenomeno del “pizzo”. Nonostante l’attività di tante associazioni di commercianti e nonostante i casi di collaborazione da parte delle vittime, «risulta ancora estremamente diffusa – confrma la Dna – l’imposizione del “pizzo” alle attività commerciali e alle imprese, cui si accompagna la riconquista del monopolio sul traffico di sostanze stupefacenti, altamente ed immediatamente remunerativo».

Ma il dato più significativo, secondo la Direzione investigativa antimafia, è rappresentato «dalla permanente e molto attiva opera di infiltrazione, da parte di Cosa Nostra, in ogni settore dell’attività economica e finanziaria, che consenta il fruttuoso reinvestimento dei proventi illeciti, oltre che nei meccanismi di funzionamento della Pubblica Amministrazione, in particolare nell’ambito degli Enti Locali».

Quindi infiltrazione nei Comuni e corruzione, tanta corruzione. «L’uso stabile e continuo del metodo corruttivo-collusivo da parte delle associazioni mafiose – è scritto nella Relazione –  determina di fatto l’acquisizione (ma forse sarebbe meglio dire, l’acquisto) in capo alle mafie stesse, dei poteri dell’Autorità Pubblica che governa il settore amministrativo ed economico che viene infiltrato».

Cosa Nostra e cosa pubblica spesso cioè si sovrappongono e i pericoli di questo corto circuito sono chiari. «CCon l’utilizzazione del metodo collusivo-corruttivo, le mafie si avvalgono sempre della forza d’intimidazione e dell’ assoggettamento ma per ottenere il risultato, non usano direttamente della propria forza, ma – con risultati analoghi e generando un totale assoggettamento – quella di altri e cioè dei Pubblici Ufficiali a busta paga».

In particolare a Palermo l’organizzazione criminale «esprime al massimo la propria vitalità sia sul piano decisionale (soprattutto) sia sul piano operativo».

 

il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, nel corso della presentazione della Relazione, ha affermato che oggi «il nuovo trend di infiltrazione mafiosa è il settore del traffico di rifiuti, di quasi tutte le organizzazioni mafiose». Il procuratore Roberti ha poi sottolineato che «Cosa nostra siciliana è in un momento di flessione» mentre le «presenze delle mafie straniere si sono particolarmente aggravate nell’ultimo periodo». Dei 54 mila detenuti, 18.500 sono stranieri, pari al 33%. «Se non c’è integrazione questi soggetti diventano facile preda della criminalità. Il tema della integrazione si pone in modo impellente», ha detto Roberti. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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