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Sfilate Milano, i nuovi principi della moda

Di Venera Elisa Fichera |

L’uno di fronte all’altro sfidano i destini di oggi e di ieri. E se per il Gattopardo «perché tutto cambi bisogna che tutto rimanga com’è» il Re Leone invoca «Hakuna matata». Il mondo reale è duro da affrontare? I nuovi principi preferiscono vivere nei sogni di quello virtuale ripetendo tra sé: «Become your dream». Indossano una uniforme principesca scomposta e rivisitata in chiave moderna e si chiamano Austin Mahone, Cameron Dallas, Lucky Blue Smith, Presley Geber, Brandon Lee, Rafferty Law, Levi Dylan… 112 protagonisti in passerella di cui 44 figli d’arte.

Imperversa il damascato di seta nero, viola metal sui suit ma anche d’oro sul cappotto. La nuova versione dello spencer contemporaneo e metropolitano si porta con il cappuccio da rapper, la banda del tuxedo è anche in velluto bordeaux mentre le decorazioni patchwork si insinuano sul capospalla imbottito e oversize. The Lion King ruggisce sui capi e poi arriva lei una principessa strizzata in abitini aderenti e cortissimi, culotte e brassière in pizzo nero di una sensualità senza limiti. Per la festosa parata finale, nella Ballroom del Castello di Dolce&Gabbana, impera il tuxedo per lui mentre lei è una moderna ed elegante Lady in frac e shorts very hot.

Un’estetica rassicurante e forte per il guardaroba classico, ma rivisitato, di Emporio Armani. In un contesto metropolitano l’armonia «della bellezza di un essere maschile» avanza tra velluto blu e nero e ampi pantaloni alla caviglia. 

I colori verde, viola e marrone della palette sono quelli del bosco e tingono di eleganza i capi.

«La mia scelta è quella di esprimere me stesso. Sono io, non posso essere che io», dichiara Giorgio Armani che con tutta la sua classe vestirebbe sicuramente, senza pregiudizi di sorta, una bellissima donna come Melania Trump. E se di giorno le giacche hanno pettorine in pelo, e le borse a tracolla sono in pelle craquelé, la sera esige un tuxedo. Lui con papillon e giacche dai rever a lancia o sciallati accompagna «la bellezza dell’essere femminile». Lei indossa lunghi abiti in velluto con una profonda scollatura a “V” mentre i fiocchi giocano sulla sua mise, oppure preferisce, in alternativa, incantevoli abiti in tulle con applicazioni patchwork o audaci gilet rubati dal guardaroba maschile, classico sì, ma, senza ombra di dubbio, mai noioso.

Alla Triennale Antonio Marras nella location della sua mostra “Nulla dies sine linea” porta in scena un meraviglioso tableau vivant in cui tutto si mescola, si trasforma e contamina, linguaggi diversi creano cortocircuiti, i codici si stravolgono per creare orizzonti diversi.

In questo caos “organizzato” abiti “che tutto mescolano” incontrano maglie militari intarsiate di preziosi jacquard tappezzeria, ori e ricami. Tra damaschi e broccati sbocciano fiori, tantissimi fiori, le roselline vagano tra bouquet aggrovigliati. 

Le uniformi dei ninjas giapponesi ispirano, infine, Andreas Melbostad, direttore creativo di Diesel Black Gold, che rivisita le icone del brand in un combat mood urbano.  I kimono con le sue iconiche cinture obi avvolgono le silhouette. L’eco orientale invade anche i bomber in nylon e le tuniche in pelle e denim. 

L’ispirazione ninja continua sui cropped pants, sulle giacche di pelle si notano monogram giapponesi mentre i parka oversize con i suoi cappucci esagerati celebrano l’industrial attitude della maison.

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