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I tempi (e i rischi) delle dimissioni di Enzo Bianco

Di Mario Barresi |

Catania. Narrazione. Splendida parola del vocabolario italiano. Di gran lunga più efficace di storytelling. Ché, poi, quasi tutto comincia e finisce da qui. Dal totem del Pd renziano, sospeso fra essenza e apparenza.

Enzo Bianco candidato governatore? Suggestione, tentazione, ambizione, soluzione. E ora – per qualche giorno ancora, ma il tempo stringe – anche azione. Chi sta cercando chi, nel frenetico valzer fra Catania e Roma? Tutt’altro che un dettaglio, nel racconto di questa storia. Ma trascurabile, se la teoria diventasse pratica.

Il tempo è la variabile decisiva. Come in un thriller di Hitchcock, con gli eventi che si accavallano fino ad aggrovigliarsi. Perché se Bianco davvero volesse (o dovesse) candidarsi, dovrebbe dimettersi all’alba del mese prossimo. Fare gli scatoloni a Palazzo degli Elefanti, quando ancora le schede delle primarie nazionali del Pd sono state appena scrutinate. O magari prima, visto che il sindaco nei prossimi giorni (forse domani stesso) incontrerà Lorenzo Guerini. «Ne parlo con Matteo e poi facciamo il punto assieme», il commiato del braccio destro di Renzi nell’ultimo colloquio con Bianco sulla “pazza idea”.

Fra il sarebbe, il può essere e il sarà, c’è una prima strettoia: l’ex e futuro segretario del partito può assumersi la responsabilità di una scelta-lampo, garantendo un’investitura dall’alto che va pagata cash con le dimissioni di uno dei pochi sindaci metropolitani del Pd al Sud? Senza considerare l’effetto – personale, innanzitutto, per Bianco – di un altro addio alla città, pur meno tradimentoso di quello col Viminale nel 1999, ma sempre difficile da spiegare ai catanesi. A meno di avere già un piano B, comunque necessario. E magari gradito. Una exit strategy che aprirebbe la corsa per la sindacatura. Un tappo che salterebbe, per gli ambiziosi rivali interni; o magari una moneta di scambio trasversale – nella logica di larghe intese alla Regione – per ammaliare e ammansire i big del centrodestra, se disponibili a virare la rotta da Palermo a Catania.

I pochissimi granelli di sabbia che restano nella clessidra delle dimissioni potrebbero essere la debolezza di Bianco, soprattutto se il Nazareno dovesse decidere di non decidere. Ma, paradossalmente, potrebbe essere anche la sua forza. Contrattuale, soprattutto. Perché magari al sindaco, entro maggio, non serve una “bolla papale” per passare dal trampolino al tuffo. Forse gli basta un «si potrebbe fare, ma ne parliamo dopo», rafforzato dai numeri sulla popolarità. Ed è per questo che, oltre ai viaggi romani, in questi ultimi giorni per Bianco è stato tutto un susseguirsi di caffè. Palermitani e catanesi. “Cartelli” dei sondaggi sul display del telefonino e domanda secca: «Tu che ne pensi se…?». Una verifica con l’area Orlando, faccia a faccia al Bar Europa con l’ex acerrimo nemico Giuseppe Berretta, sull’eventualità di una desistenza. In AreaDem Bianco ha uno sponsor forte nell’assessore regionale Anthony Barbagallo, che non ha mai fatto mistero di essere «il più leale e affidabile alleato di Bianco» al Comune. Tanto da convincere anche Peppino Lupo, anima palermitana dei franceschiniani? Fra gli alleati, infine, i contatti di Bianco sono sempre più frequenti e amorevoli col binomio alfaniano Pino Firrarello-Giuseppe Castiglione; intanto Giovanni Pistorio, storico amico di Enzo, pressa sul capo dei Centristi, Gianpiero D’Alia.

Pezzi, piccoli e grandi, di un mosaico da comporre. Se non ci fosse stata l’urgenza delle dimissioni, forse l’ex ministro avrebbe potuto investire di più sulla fama di «uomo che unisce». Ma dovendo mostrare – ora, subito – di essere il più forte fra gli aspiranti governatori del Pd, si enfatizzerà soprattutto l’ostracismo di chi, di Bianco, non vuole sentirne parlare. A partire, ovviamente, dagli altri contendenti. E qui la narrazione assume le striature veriste di una Cavalleria Rusticana. Con Davide Faraone e Antonello Cracolici, soprattutto. Entrambi apostoli delle primarie per le Regionali, convinti di giocarsi il ticket per Palazzo d’Orléans. Subito dopo il risultato di domenica. Che incoronerà Renzi segretario nazionale, con l’incognita dell’affluenza. E il nodo, non secondario, dei risultati nei gazebo della Sicilia. Il rapporto fra il sottosegretario alla Salute e Bianco è freddo, addirittura glaciale dopo l'”operazione aspirapolvere” di Luca Sammartino e Valeria Sudano sulle liste della mozione Renzi sotto il Vulcano. Riuscirà Faraone a far valere la sua golden share sul Nazareno, maturata dal possesso della tessera n. 1 di renziano siculo? Nel suo staff girano numeri ben diversi dal sondaggio favorevole a Bianco, che per i faraoniani resta «fuori partita». E poi – sibila qualcuno fra i siculofuturisti di Totò Cardinale – «una cosa è la popolarità, ben altra è avere i voti, e Bianco non ne ha».

La controffensiva sarebbe più semplice, se di mezzo non ci fosse l’assessore all’Agricoltura, già in pieno clima da derby, tutto palermitano, con Faraone. Ma “Crac”, oltre a essere realista, è anche un uomo di partito. E allora, condividendo il tetto dell’area Orfini con il segretario regionale Fausto Raciti (ufficialmente fermo sull’idea delle primarie di coalizione, ma piuttosto “laico” sull’opzione Bianco), Cracolici potrebbe contrattare una buonuscita con Roma. A meno che non firmi una conventio ad excludendum (Enzum) proprio con Davide.

E Crocetta? Qui la narrazione ci porta verso Pirandello con note kafkiane. Il governatore in carica è auto-ricandidato. Gongolerà, leggendo i numeri su Faraone (nemico schietto) e su Cracolici (nemico occulto), pronto alla sua scena madre. Con altri sondaggi che, secondo lui, certificano la consistenza di RiparteSicilia per l’Ars. «Senza di me perdono», va dicendo Rosario. Che, sornione, aspetta il risultato della partita di Bianco, col quale il vecchio feeling s’è rotto da un pezzo. Pronto, in ogni caso, alla scena madre. Ai primi di maggio Dopo le primarie. E dopo che all’Ars avranno smontato le bancarelle del suk della Finanziaria. Una “petizione” fra i suoi assessori. Da mettere tutti alle strette: «Tu sei con me o contro di me?». Fuori i depennati, dentro i fedelissimi. Per giocarsela, anche da solo, con il suo nuovo governo – uno, mezzo o tre quarti – del presidente. Contro chiunque: Faraone, Cracolici o Bianco. Senza nulla da perdere. Il gran finale, a proposito di narrazione, in stile Apocalypse Now.Twitter: @MarioBarresiCOPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA