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Agrigento, imprenditore edile non si piega alle minacce e denuncia i due uomini che lo minacciavano

Di Antonino Ravanà |

La richiesta di “pizzo” ad un costruttore sarebbe stata di poco meno di 100 mila euro. Oltre al denaro avrebbero chiesto anche assunzioni di personale. Complessivamente tre tentativi di richiese estorsive, compiute, fra l’ottobre del 2015 e l’aprile del 2016.

La vittima, un coraggioso imprenditore edile di Agrigento, non ha accettato la pretesa e ha denunciato ogni cosa.

Ieri all’alba con l’accusa di tentata estorsione, attraverso il metodo mafioso, il personale della Direzione investigativa antimafia di Agrigento, ha arrestato Antonio Massimino di 48 anni e Liborio Militello di 49 anni, entrambi agrigentini. I fermi sono stati disposti dal procuratore aggiunto di Palermo Maurizio Scalia, che ha coordinato l’indagine con i pubblici ministeri Claudio Camilleri e Alessia Sinatra. Il provvedimento è stato disposto urgentemente per il timore che Massimino, ritenuto uno dei maggiori esponenti della mafia agrigentina, si desse alla fuga.

Massimino e Militello, nei mesi scorsi avrebbero preso di mira un cantiere allestito in territorio di Agrigento, per la costruzione di una palazzina. Avrebbero avvicinato l’imprenditore, chiedendo denaro e lavoro per alcuni loro “amici”. Tutte richieste probabilmente per “stare tranquillo”.

Il costruttore dimostrando coraggio, si è invece rivolto alla Dia di Agrigento, denunciando i tentativi di estorsione. Avviate le indagini, il personale della Dia, guidato dal vice questore aggiunto Roberto Cilona e dal maggiore Antonino Caldarella, avrebbe inchiodato i due presunti taglieggiatori alle proprie responsabilità e bloccandoli in tempo.

In particolare, le richieste di soldi e posti di lavoro si sono concretizzate nel cantiere edile e negli uffici dell’impresa. Subito dopo avere denunciato ogni cosa, la Dia ha provveduto a monitorare il boss agrigentino e il suo presunto fedelissimo, chiudendo il cerchio in poco tempo. E’ stato predisposto un provvedimento di cattura immediato, poiché gli inquirenti temevano che Massimino si desse alla fuga. Ieri dopo l’arresto, la Dia ha eseguito una serie di perquisizioni a immobili nelle disponibilità dei due arrestati. Nulla di rilevante sarebbe emerso nel corso delle ispezioni, anche se le indagini vanno avanti. Setacciato anche il loro presunto patrimonio. Massimino, una prima volta, era stato catturato in territorio belga il 13 gennaio del 1999, in quanto raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dall’allora Gip del Tribunale di Palermo, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia, nell’ambito della cosiddetta operazione “Akragas”, che aveva consentito, fra l’altro, di individuare i responsabili di ben 22 omicidi, un tentato a omicidio ed un sequestro di persona. Quell’arresto scaturì dalle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia, l’empedoclino Alfonso Falzone, il quale, affermava che lo stesso fosse persona “vicina” alla famiglia di Cosa Nostra di Agrigento-Villaseta. Massimino era stato condannato alla pena di 4 anni di reclusione per associazione mafiosa, poi confermata in appello.

Nell’estate del 2002 la Corte di Appello di Palermo, ritenendolo socialmente pericoloso, lo aveva sottoposto alla misura di sicurezza della libertà vigilata per la durata di due anni.

L’anno successivo il magistrato di Sorveglianza di Milano, dichiarandolo socialmente pericoloso, gli aveva applicato la misura di sicurezza della libertà vigilata per due anni. Trascorsi altri due anni, nel 2005, Massimino venne nuovamente arrestato, unitamente ad altre persone, nell’ambito dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dall’ufficio Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia, nell’ambito dell’operazione antimafia “San Calogero”.

Nel processo celebrato col rito abbreviato, il Giudice delle udienze preliminari lo ha condannato a 15 anni di carcere, per aver fatto parte, in qualità di promotore e organizzatore, di un’associazione diretta al traffico di sostanze stupefacenti e di aver fatto parte delle famiglie mafiose operanti ad Agrigento.

L’altro arrestato, Militello, figura nota negli ambienti delinquenziali agrigentini, è risultato essere un fidatissimo sodale del Antonio Massimino, dal quale – secondo la Dia – ha ricevuto sistematicamente ordini che ha portato regolarmente a compimento.

Nel gennaio del 2001 venne condannato per una tentata estorsione. Nell’occasione aveva messo in atto azioni persecutorie, facendo anche ricorso a minacce e violenza, al fine di estorcere denaro ad un funzionario sindacale, arrivando a chiedergli la corresponsione mensile di cinque milioni delle vecchie lire, per una durata complessiva di tre mesi.

Annovera diversi precedenti e pregiudizi penali anche per oltraggio, resistenza e violenza a Pubblico ufficiale e porto abusivo di armi.

Massimino da mesi è sottoposto alla misura di prevenzione della Sorveglianza speciale di Pubblica sicurezza. Misura che avrebbe violato nel marzo di quest’anno, quando venne arrestato dai carabinieri della Stazione di Joppolo Giancaxio. Massimino si trovava in compagnia di alcuni pregiudicati in un orario in cui doveva trovarsi nella propria dimora. Nei giorni successivi il giudice monocratico del Tribunale di Agrigento, Maria Alessandra Tedde, lo ha assolto “perché il fatto non costituisce reato”. Il giudice ha accolto la tesi del suo legale difensore, secondo cui Massimino, si era allontanato e oltrepassato i confini di poco “agendo in buona fede”. Ora è costretto a difendersi da un’altra pesantissima accusa.

I due agrigentini, ieri pomeriggio espletate le formalità di rito, sono stati rinchiusi nella Casa circondariale di contrada “Petrusa”, in attesa dell’interrogatorio di garanzia. Massimino è difeso dall’avvocato Salvatore Pennica; Liborio Militello dall’avvocato Carmelita Danile.

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