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Il Riesame scarcera la moglie e il fratello del boss dei Carateddi

Il Riesame scarcera la moglie e il fratello del boss dei Carateddi

Annullata la custodia cautelare per Agata Balsamo e Giuseppe Privitera, moglie e fratello del boss Orazio Privitera detenuto in regime di 41 bis. Ma per i pm la donna aveva “ereditato” la reggenza del clan

Di Redazione |

CATANIA – Il Tribunale del riesame di Catania ha annullato l’ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti di due indagati nell’ambito dell’operazione Prato Verde eseguita dalla Dia il 18 febbraio del 2014 contro una frangia del clan Cappello. Sono Agata Balsamo e Giuseppe Privitera, rispettivamente moglie e fratello del boss Orazio Privitera, ritenuto al vertice del gruppo dei “Carateddi”, detenuto in regime di 41 bis. La donna, secondo la Procura, era ai vertici della cosca avendo “ereditato” la reggenza dal marito. La tesi dell’accusa e l’ordinanza del Gip avevano retto al primo ricorso presentato al Tribunale del riesame di Catania, ma il 7 ottobre del 2014 la prima sezione penale della Cassazione ha annullato con rinvio la decisione dei giudici.   Il provvedimento è stato valutato da un altro Tribunale del riesame, l’8 gennaio scorso, che accogliendo le richieste degli avvocati Maurizio Abbascià, Lina Biancoviso, Cosimo e Marco Santonocito, e recependo i rilievi della Suprema Corte ha annullato l’ordinanza cautelare. I giudici hanno ritenuto “inadeguata la piattaforma indiziaria”, “generiche e prive di riscontro le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Giacomo Cosenza” e “attestanti interessi familiari e meri rapporti di amicizia tra i soggetti coinvolti le conversazioni intercettate”.   Il Tribunale ha ritenuto di “non soffermarsi sull’attendibilità del collaboratore Giacomo Cosenza” per “la genericità delle sue propalazioni” e per la “mancanza di riscontro delle stesse”.   Al centro dell’inchiesta Prato Verde della Dda della Procura di Catania oltre allo spaccio di droga, la “guardiania” dei terreni imposta con metodi mafiosi agli agricoltori della Piana che, secondo l’accusa, permetteva alla cosca di controllare il territorio e truffare l’Agea 1,5 milioni di euro dal 2003 al 2013.

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