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La dittatura dell’algoritmo e la spirale delle fake news: «Così cerchiamo l’antidoto»

Di Fabio Russello |

Le fake news sono un tarlo che logora inesorabilmente le basi della democrazia liberale, del progresso scientifico, della supremazia delle competenze. Spesso sorridiamo, ma su larga scala non si tratta di semplici burloni. Quella delle fake news è un’industria che è redditizia e che può essere pericolosisima. Prendete ad esempio quei link propalati sul web che parlano di cure miracolose contro il cancro, o della relazione tra autismo e vaccini o delle scie chimiche, i terrapiattisti, i negazionisti dell’allunaggio.

Ed è per questo che dalla Sicilia – l’Università di Messina – è stata lanciata nel mondo accademico europeo la proposta di insediare un gruppo di lavoro per studiare il fenomeno, verificarne l’incidenza e l’influenza e cercare un antidoto.

«L’idea – ha detto Francesco Pira, sociologio dell’Università di Messina – è nata tempo fa. Studio da tempo il fenomeno delle fake news insieme al mio collega Andrea Altimier. L’idea è uno studio su base statistica per capire quali sono i punti di forza di una fake news rispetto ad una notizia tradizionale».

– Non ci troviamo dunque di fronte a dei semplici burloni..

«Non direi proprio. Le fake news sono una industria strutturatissima che secondo gli esperti americani su scala globale hanno come base per il confezionamento soprattutto la Russia e la Cina. Nel nostro paese il fenomeno ha un forte radicamento e attacca la politica, l’economia e la scienza e cioè settori fondamentali di una società. E’ un fenomeno che i governi o prima o dopo dovranno affrontare»

– E qual è, se c’è, l’antidoto?

«Al momento non c’è. La Commissione europea ha realizzato studio. Ma non è facile arginare il fenomeno con provvedimenti di singoli paesi. Certo, possiamo fare una legge, ma anche di fronte ad una norma la “viralità” di una fake news non si ferma. Una cosa diversa è invece l’odio on line. Alcuni paesi in Europa, e in particolare Francia e Germania, stanno adottando normative adeguate. In Italia ci sono ancora solo delle proposte di legge. Ma i problemi ci sono. Il primo è che, e forse ve ne siete accorti, i più ricchi del mondo sono ormai quelli che gestiscono il web, c’è insomma un potere economico forte di chi gestisce le strutture. E poi c’è il potere dell’ “algorimo” sui macrotemi che distraggono gli utenti. Per esempio si parla di immigrazione e non ci concentriamo abbastanza sulla mancanza di lavoro e sulla crisi economica, argomenti che restano nella cosiddetta “spirale del silenzio”. Le fake news servono anche per alimentare questa “spirale del silenzio”.

– Lei ha proposto alla comunità accademica europea di formare un gruppo di lavoro.

«La proposta è stata presentata al congresso internazionale di sociologia organizzato nei giorni scorsi a Valencia dalla Federazione Spagnola di Sociologia. E dai colleghi c’è stata condivisione».

– Cosa dovrebbe fare questo Gruppo di lavoro?

«In una democrazia compiuta è più difficile far passare le fake news. Il gruppo di lavoro intende raccogliere dati su tutti i Paesi Ue o su quelli dove è possibile ottenerli per realizzare un modello di ricerca che possa indagare il livello di condizionamento che le fake possono determinare nei settori della vita pubblica e avere così un campione su buona parte dei paesi Ue. Da qui si parte per capire che cosa si può fare».

– Ma davvero un algoritmo può decidere che direzione può prendere la politica?

«È un problema culturale, non solo di algoritmi. Oggi se un sito qualunque e senza alcuna referenza ci dice una cosa, anche la più folle, c’è chi ci crede. La capacità di incidenza della fake news è fortissima e non dipende dal titolo di studio. Inoltre il 65% di chi diffonde fake tende poi a non smentirla. La proteggono e così la mantengono in vita».

– Con il paradosso della Francia…

«In Francia c’è una legge per serve a combattere le fake. I social si sono adeguati modificando i loro algoritmi. E’ successo che il Governo francese alla vigilia delle Europee voleva fare una campagna per indurre i cittadini a recarsi alle urne ma su Twitter gli algoritmi che erano stati modificati per legge non hanno potuto ospitare questa campagna. Insomma c’è tanta confusione».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA