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Odevaine:«Io, Castiglione e gli altri: così truccammo gli appalti al Cara Mineo»

Di Mario Barresi |

È il primo di tre lunghi interrogatori del “Facilitatore” di Buzzi e Carminati. E sono soprattutto questi tre verbali, assieme ad altre migliaia di pagine del voluminoso fascicolo d’indagine, a raccontare il “sistema Mineo”. Per la prima volta dall’interno.

Odevaine si assume tutte (o quasi) le proprie responsabilità. Aspirando magari a quel ruolo di “pentito” dell’inchiesta sul Cara, del quale nemmeno in carcere – spiato da occhi e orecchie indiscrete – aveva fatto mistero. Si auto-accusa, Odevaine. E accusa. Soprattutto, ma non soltanto, Giuseppe Castiglione, «una persona che posso definire molto attenta, nel senso che tutti i suoi interventi sono stati sempre diretti a gestire le diverse fasi dell’appalto ma facendo in modo di non comparire».

I passaggi più pesanti sul sottosegretario di Ncd, fra i 23 indagati per turbativa d’asta e corruzione, riguardano i presunti accordi per pilotare i bandi. Si parte dall’ormai celebre (perché già citato nelle carte di Mafia Capitale) pranzo fra Odevaine e Castiglione, quello «con la sedia vuota». Che, poi, fu occupata da Salvo Calì (allora presidente del consorzio Sisifo), «fra giugno e luglio 2011», in un «ristorante sul lungomare di Catania, che se non ricordo male si chiamava “Mediterraneo”». A tavola «affrontammo l’argomento del Cara di Mineo». Odevaine, alla fine del pranzo con Castiglione e Calì, maturò una convinzione: «Per me fu chiaro che Sisifo avrebbe avuto la gestione del centro».

E così fu. Anche grazie ad alcuni incontri «avvenuti tutti tra agosto e dicembre 2011». Uno dei quali, ricorda Odevaine, «fra settembre e ottobre avvenne presso l’ufficio dell’on. Castiglione presso la Provincia». Una riunione organizzata da Giovanni Ferrera, che poi sarebbe diventato direttore generale del Consorzio dei Comuni “Calatino Terra d’Accoglienza” per la gestione del Cara, fra gli indagati in quest’inchiesta. Ferrera «mi era stato indicato da Castiglione come soggetto al quale fare riferimento». Nell’occasione a Odevaine viene presentato Paolo Ragusa, «quale presidente di un consorzio candidato alla gestione del centro e quale soggetto ben radicato nel territorio e molto vicino all’on. Castiglione». Ragusa, ex presidente di Sol.Calatino, è pure fra gli indagati. «Nel corso di quest’incontro decidemmo i contenuti del capitolato», confessa ai pm catanesi. Con un’altra delle sue sensazioni: «Mi fu chiaro che Ragusa avrebbe sicuramente l’affidamento dell’appalto ed un ruolo nella gestione del centro anche perché così mi disse l’on. Castiglione».

E così fu. Nel successivo colloquio – il 16 settembre 2015, nello stesso carcere – Odevaine risponde ai magistrati che gli chiedono di ricostruire meglio la redazione dell’atto. Che «venne scritto dal dott. Ferrera». Anche se «i principali passaggi del bando 2011 – racconta – vennero concordati con Castiglione che poi l’avrebbe firmato». La testuale confessione: «Io e Ferrera abbiamo integrato il bando “base” (del ministero, ndr) ed i punti più importanti, quali la distanza dei punti cottura e il rapporto con il territorio, punti che sono stati concordati insieme all’on. Castiglione affinché vincesse il gruppo di imprese che erano state individuate a livello politico».

Accuse pesantissime, ancorché da provare con elementi che vadano oltre le confessioni di un condannato per corruzione. Ma l’uomo del “Mondo di Mezzo” dà ai magistrati il senso della continuità dell’ipotesi di reato. Arrivando al secondo bando del Cara di Mineo: quello del gennaio 2012. Una «replica del primo», lo definisce. Anch’esso «redatto da Ferrera», stavolta senza incontrare l’allora presidente della Provincia di Catania. Ma «io, Ferrera e Castiglione – rammenta Odevaine – commentiamo positivamente il fatto che così redatto avremmo garantito che gli stessi soggetti avrebbero continuato a gestire il centro». Agli incontri, «all’interno del Cara», nei quali «concordavamo il contenuto del bando prima della sua pubblicazione» c’erano sempre Odevaine, Ferrera e Ragusa. Ma anche Domenico Cammisa de “La Cascina”, indagato a Catania, fresco di patteggiamento a 2 anni e 8 mesi per Mafia Capitale.

Di proroga in proroga si va verso il bando del 2014. Prima del quale c’era «la preoccupazione» che «se la Pizzarotti avesse vinto la gara avrebbe potuto scegliere altri partners». Parte una trattativa, con frenetici incontri nella sede della Provincia, a Tremestieri Etneo. Poi la notizia: «Pizzarotti accettava la nostra proposta», perché «aveva avuto rassicurazioni sull’aggiudicazione». Da chi? Da «Paolo Ragusa, su indicazione di Castiglione, ciò anche a seguito di accordi presi a livello politico più alto – racconta Odevaine – di cui mi riferiva Melolascina (dirigente de “La Cascina”, ndr) e nel quale immagino potessero essere coinvolti il ministro Lupi e il ministro Alfano». Racconti di seconda mano, comunque, su esponenti di Ncd non sfiorati dall’indagine.

Ed ecco il super-appalto triennale da 100 milioni. «Tra me e Ferrera c’era il sentire che il bando così redatto avrebbe favorito un certo gruppo che era quello che gestiva in quel momento il Cara», conferma Odevaine. Nell’ultima gara Castiglione era già a Roma e a gestire il Cara c’era già il Consorzio dei Comuni, presieduto dal sindaco di Mineo, Anna Aloisi. «I sindaci non erano a conoscenza dei meccanismi di gestione delle gare per il Cara da noi poste in essere», afferma Odevaine. “Scagionando” il primo cittadino di Vizzini, Marco Sinatra (fra i 5 iniziali indagati dalla Procura di Catania, ma non più fra i 23 destinatari della conclusione indagini): «Non era a conoscenza dei nostri accordi». E, in parte, anche quello di Ramacca, Franco Zappalà (un altro teste-chiave dell’accusa su altri versanti) che «credo avesse capito cosa poteva ottenere», dice Odevaine. Il sindaco Aloisi (anch’essa fra gli indagati) per il suo ex dipendente part-time, «invece ne era a conoscenza perché me lo disse in più occasioni Paolo Ragusa».

Il discorso sui sindaci apre un altro squarcio sul Cara di Mineo: le assunzioni, delle quali si occupa anche la Procura di Caltagirone in diverse inchieste. Su questo aspetto Odevaine si tira fuori, così come per le forniture del centro di accoglienza. «Ragusa era colui che indicava quali dovevano essere le ditte a cui rivolgersi». Sulla selezione dei lavoratori (circa 400 gli occupati diretti del Cara, più un indotto molto più esteso) l’esperto di Mafia Capitale ha le idee più chiare: «I sindaci del territorio si erano riuniti per spartirsi materialmente i posti di lavoro all’interno del centro». Ma, specifica, «il regista dell’operazione era Paolo Ragusa su input dell’on. Castiglione, per me era chiaro che Ragusa era la proiezione di Castiglione».

E aggiunge dei particolari: «Ricordo che tra il secondo e il terzo bando Cammisa si lamentava molto delle assunzioni». Perché «ci fu una spaccatura sul fronte siciliano: da una parte Sisifo e dall’altra Ragusa che si era avvicinato maggiormente a La Cascina». In questo contesto «ricordo che alla fine fu imposto Ragusa come presidente del Consorzio proprio perché tramite lui Castiglione voleva controllare le assunzioni». E quando i pm gli chiedono di esplicitare il rapporto dell’ex presidente di Sol.Calatino col sottosegretario di Ncd, oltre a riferire che «anche Ferrera in più circostanze mi ha confermato che Ragusa agiva su indicazione di Castiglione», Odevaine racconta: «Ricordo che a margine di molti incontri pubblici, io, Ragusa, Ferrera e Castiglione ci fermavamo a parlare del Cara e in tutte queste occasioni era palese che Ragusa agiva su indicazione di Castiglione».

Un’altra delle sensazioni dell’indagato? Forse. Eppure, trattandosi di un elemento decisivo per l’accusa, la tracciabilità del legame fra i due ha bisogno di ben altre prove. Anche perché lo stesso aspirante “pentito” Odevaine precisa che «nessuno mi ha mai parlato di richieste di voti in cambio di lavoro». Su questo aspetto, però, negli uffici di Piazza Verga, dopo la sfilata di decine di testimoni, si punta su altre prove.

Twitter: @MarioBarresi

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