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la polemica

Iginio Massari e la cassata troppo dolce: ma con meno zucchero sarebbe ancora una cassata?

Il celebre chef e pasticciere ha sollevato il dibattito sul celebre dolce siciliano. E i social si dividono

Di Santo Privitera |

Un celebre detto catanese asserisce che “Cu mangia fa muddichi”, e sembra davvero così. Tutto ciò che si fa, lascia sempre una traccia: questo dice il proverbio. Nulla avviene per caso, soprattutto quando si innescano polemiche che potrebbero essere benissimo evitate. “Prendere per la gola” i cugini palermitani, sembra essere ormai un esercizio comune. La spinosa “querelle” dell’“Arancino” piuttosto che “Arancina” mise in forte contrapposizione due diverse sponde dell’Isola; ma poi tutto è finito lì. “‘U sangu si mastica non s’agghiutti”, nel senso che ogni possibile risentimento tra consanguinei è destinato a sparire in poco tempo.

La questione è un’altra

La questione stavolta è un’altra: si riferisce alla recente intervista rilasciata dallo chef Iginio Massari. “Apriti cielo!” Il pasticciere italiano considerato “il maestro dei maestri” si è lasciato andare a una dichiarazione che non è piaciuta affatto. Vi siete chiesti perché il cannolo – ha osservato – lo mangiano in tutto il mondo e la cassata no? perché la cassata è troppo dolce”. Visto che il famoso dolce siciliano è tipico delle tradizioni pasquali, una polemica “gastronomica” di questa portata assume il tono di una grave provocazione. “Chi nicchi nnacchi?” (cosa c’entra) direbbero i nostri avi. Tanto è bastato perché a Palermo scoppiasse una vera e propria “rivoluzione”. Sul sentiero di guerra sono scesi i pasticcieri siciliani, quelli palermitani in primis. La cassata no! quella non si tocca. «Quali competenze potrà mai avere su questa materia il sig. Massari – sostengono i dolcieri – se non è nemmeno palermitano?».

Sui social il dibattito si infiamma

Sui social sono volati gli “stracci”; anzi le “torte” quasi tutte finite in faccia al pasticciere bresciano. Eufemisticamente è stato accusato di aver detto una solenne… “cassata”. Massari non ha fatto altro che rispondere a una semplice domanda, ben sapendo di scatenare un putiferio. Per quanto non abbia bisogno di pubblicità (è considerato tra i più noti e apprezzati pasticcieri al mondo), non si spiegano bene i motivi per i quali si sia “lasciato andare” con tanta leggerezza a simili dichiarazioni. Cosa c’è sotto? I più maliziosi sostengono che anche la cassata siciliana sia “caduta” vittima del “pensiero unico”. “A pensar male si fa peccato, ma a volte s’azzecca”. In effetti il tentativo di “riformarla” c’è stato. Depotenziata di zucchero sembra sia piaciuta lo stesso. Almeno questo ha sostenuto il pasticciere a supporto della propria tesi. Sarà magari come dice lui, ma certamente non si può ignorare il fatto che bisogna tenere conto del gusto esclusivo che questo particolare tipo di dolce possiede. Se la cassata ha una tradizione così solida nell’Isola, vuol dire che ai siciliani piace così com’è. C’è poco da fare: a dispetto delle possibili conseguenze “glicemiche”, la ricotta annegata nello zucchero è tutt’altra cosa rispetto a una semplice simil-composizione pasticciera che potrebbe essere considerata solo una “brutta copia” dell’originale.

Le nobilissime origini

Sono nobili le origini della cassata. Risalgono al sec. XI, allorquando gli Arabi giunsero in Sicilia. Loro portarono pure agrumi, pistacchi, mandorle, zucchero da canna e molto altro. Si racconta che un pastore un giorno unì ricotta e zucchero, chiamando questo dolce “quas’at.”(bacinella), dal nome del contenitore in cui aveva mescolato gli ingredienti. Il dolce subì un primo cambiamento quando alla corte palermitana dell’emiro, i cuochi decisero di ricoprire l’impasto di ricotta e zucchero con uno strato di pasta frolla. Nacque così la “cassata al forno”. In epoca Normanna presso il convento Martorana di Palermo le suore preparavano la “pasta reale”(o Martorana) che fu successivamente usata per arricchire il dolce. Sotto la dominazione spagnola, altre modifiche. Gli spagnoli sostituirono la pasta frolla con il morbido “pan di Spagna”. Alla ricotta aggiunsero le “gocce di cioccolato”, la frutta candita e la “glassa” di zucchero. La pasta reale preparata dalle suore venne usata per decorare il dolce. Quello che venne fuori fu un “capolavoro dolciario” esteticamente bello a vedersi e particolarmente gustoso.Nel 1575 il sinodo della Diocesi di Mazara del Vallo lo riconobbe come “dolce ufficiale della festa di Pasqua”, vietando il consumo durante gli altri periodi dell’anno. Ciò per evitare che si commettessero “peccati di gola”. La ricetta è stata ufficialmente codificata solo nel 1873 dal pasticciere palermitano Salvatore Gulì. I palermitani, orgogliosi di questa “eccellenza”, non esitarono a pubblicizzarlo ricorrendo a uno slogan che è tutto un programma: “Tintu è cu non mancia a cassata a matina ri di Pasqua”.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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