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Catania: frode su copie vendute, condannata la società Ediservice

Di Redazione |

CATANIA – Il Tribunale di Catania ha condannato a un anno e dieci mesi di reclusione ciascuno per la violazione sulle modalità di prestazione su una consulenza editoriale i vertici di Ediservice, società che edita il Quotidiano di Sicilia. Sono Carlo Alberto Tregua (presidente), Filippo Anastasi (vice presidente) e Sebastiano Urzì (consulente editoriale). I loro difensori, gli avvocati Carmelo Calì, Antonio Bellia e Fabrizio Siracusano, e la penalista Cristina Calì che assiste la società, hanno annunciato «copioso ricorso in appello».

Al centro dell’inchiesta, basata su indagini della guardia di finanza di Catania, presunte «simulazione di vendite di copie del “Quotidiano di Sicilia” che, secondo l’accusa, avrebbero «indotto in errore la Presidenza del Consiglio dei ministri-Dipartimento per l’Editoria nella determinazione del contributo pubblico da erogare» alla società.

«Con riferimento alla sentenza pronunciata dal Tribunale di Catania, Prima Sezione penale – afferma Ediservice in una nota – pur nel rispetto della determinazione assunta dall’Autorità giudiziaria, non possiamo non manifestare stupore e meraviglia per l’esito che appare non corrispondente a quanto emerso nel dibattimento. Tuttavia attendiamo di conoscere le motivazioni e proporremo rituale impugnazione contro detta statuizione, nella certezza – conclude la nota – che in sede di Appello verrà riconosciuta la correttezza dell’operato della società e dei suoi rappresentanti legali, nella consapevolezza dell’estraneità rispetto ai fatti addebitati». 

Secondo Ediservice, tra l’altro, «la tesi dell’accusa su una presunta “simulazione di vendite di copie del Quotidiano di Sicilia” è un argomento che non risulta dal dispositivo della sentenza odierna del Giudice Grazia Anna Caserta». 

«I mezzi di stampa si riferiscono ai fatti che si manifestano giorno per giorno e non a quelli accaduti anni prima – prosegue la nota di Ediservice – e il fatto odierno è relativo al dispositivo citato. Nello stesso non vi è alcun riferimento a presunte simulazioni di vendite di copie del “Quotidiano di Sicilia”. Questa frase indebita crea grave nocumento all’immagine del Quotidiano di Sicilia e turba il mercato perché si propagano notizie destituite di fondamento. Si precisa – conclude la nota – che il processo verte su due capi di imputazione: uno riguardante una consulenza editoriale, il secondo riguardante abbonamenti. Nulla c’entra la simulazione di vendita di copie». 


Il direttore Carlo Alberto Tregua ci scrive

Illustre Direttore,

l’articolo comparso oggi sul Tuo giornale abbisogna di alcune precisazioni, che Ti chiedo di pubblicare.

1. La sentenza che mi ha penalizzato è semplicemente sbagliata per quanto segue:

• La mia società editoriale ha subito due verifiche da parte della Polizia economico – finanziaria della Guardia di Finanza: la prima, durata 17 mesi, sotto il profilo amministrativo; la seconda, durata 3 mesi, sotto il profilo fiscale.

• Le due verifiche hanno avuto il risultato concretizzato in due fatti che sono stati ipotizzati come reati: il primo per una consulenza editoriale, che è stata ritenuta parzialmente inesistente; il secondo per alcuni degli abbonamenti redatti in conformità alla L. n. 103/2012, art. 1, c. 3.

Queste sono le due ipotesi di reato e non la falsa diffusione di copie.

Infatti, la Guardia di Finanza ha verificato, durante i periodi indicati, le tirature presso lo stampatore, la diffusione presso Poste italiane e la distribuzione presso i distributori, trovando i dati perfettamente veri, come risulta dai verbali della stessa Guardia di Finanza.

2. Dunque i supposti reati riguardano la consulenza editoriale e gli abbonamenti citati. Per queste

due ipotesi, io e gli altri amministratori abbiamo subito due processi: uno sotto il profilo fiscale e l’altro sotto quello amministrativo. Nel processo fiscale il giudice ha verificato che la consulenza c’era stata effettivamente e gli abbonamenti erano stati redatti secondo le norme citate. Per conseguenza ha pronunciato sentenza di piena assoluzione perché il fatto non sussiste. Si badi, tale sentenza non è stata appellata dalla Procura ed è quindi diventata definitiva.

L’altro giudice, invece, ha ritenuto che la consulenza non ci sia stata, nonostante le prove documentali e testimoniali prodotte in giudizio. Delle due l’una: o la consulenza c’è stata o non c’è stata. Il primo giudice, con sentenza passata in giudicato, ha dichiarato che c’è stata; il secondo, con sentenza che verrà appellata, il contrario.

3. Non ci sto ad essere considerato un truffatore dopo sessantadue anni di onorato lavoro e quarantuno di altrettanta onorata direzione del QdS.

Per tali anni mi è stata contestata solo qualche contravvenzione stradale, avendo gestito le aziende sempre in stretta conformità alle leggi e corrisposto tutte, ma proprio tutte, le imposte dovute all’erario.

Attendo con serenità la sentenza di secondo grado, continuando a manifestare totale fiducia nella

Magistratura, anche in qualche giudice che sbaglia.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA