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Catania: così centri scommesse e ristoranti truffavano Sky

Di Vittorio Romano |

Se ne sono accorti i carabinieri del Comando provinciale, coadiuvati da un ispettore della pay-tv Sky, nel corso di numerosi controlli eseguiti all’interno di attività commerciali dei quartieri di Picanello, San Cristoforo e Barriera, nell’ambito di servizi finalizzati al contrasto sull’indebito utilizzo di trasmissioni video, di cui alla normativa sulla protezione del diritto d’autore, legge 633/1941. Nel corso dell’attività dei militari dell’Arma, inoltre, sono stati identificati e controllati anche gli avventori degli esercizi commerciali in questione.

Come riporta la rivista di diritto “Ius in itinere”, nel 2000 era stato eliminato il reato del cosiddetto “card sharing”, introdotto nuovamente nel 2003. Si tratta della condotta di chi, pur non acquistando i codici necessari per usufruire e beneficiare dei programmi criptati messi a disposizione dalla società, ne beneficia abusivamente non corrispondendo alcun canone. Il reato cui si riferisce una sentenza della Cassazione di qualche mese fa è quindi quello previsto dalla legge 633/1941 che, all’art. 171-octies, sanziona “chiunque a fini fraudolenti produce, pone in vendita, importa, promuove, installa, modifica, utilizza per uso pubblico e privato apparati o parti di apparati atti alla decodificazione di trasmissioni audiovisive ad accesso condizionato effettuate via etere, via satellite, via cavo, in forma sia analogica sia digitale”.

In questi giorni in tv passa un messaggio destinato agli utenti che truffano Sky, in cui si dice che si rischiano fino a 3 anni di carcere, multe salate e che in questo modo si finanziano le criminalità organizzate. Con la sentenza 46443/2017 la Cassazione ha condannato a 4 mesi di reclusione e a 2.000 euro di multa un individuo che deteneva regolarmente un decoder insieme a un apposito apparecchio che, essendo collegato a un impianto tv satellitare, permetteva di vedere i canali appartenenti al gruppo Sky a costo zero. Nella sentenza si leggeva che “la condotta incriminata è pacificamente consistita nella decodificazione ad uso privato di programmi televisivi ad accesso condizionato, e dunque protetto, eludendo le misure tecnologiche destinate ad impedire l’accesso…, senza che assumano rilievo le concrete modalità con cui l’elusione venga attuata, evidenziandone la finalità fraudolenta nel mancato pagamento del canone…”.

Così la Cassazione ha voluto sottolineare che non è più solo il gestore di questa linea “abusiva” ad incorrere in reato, ma anche il singolo utente che, senza scopo di lucro, beneficia del sistema truffaldino.

Riceviamo e pubblichiamo: “Lo scrivente avv. Mario Ripamonti del Foro di Viterbo ha ricevuto mandato da parte del signor Emanuele Morace, titolare dell’agenzia di scommesse collegata all’operatore Goldbet, avente sede a Catania in via Giovanni da Verrazzano, di precisare che l’agenzia suddetta, erroneamente ritratta nella foto, non sia in alcun modo coinvolta nell’inchiesta essendo in piena regola con l’operatore Sky e non avendo del resto ricevuto accertamenti o misure di alcune genere riferibili alla questione”.

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