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Il ricordo

Diplomatico mai, credibile e leale sempre

La morte improvvisa del giornalista catanese Natale Bruno

Di Francesca Aglieri Rinella |

Questo è ciò che in redazione chiamiamo “coccodrillo”: cioè un articolo per ricordare – il giorno dopo – chi se n’è appena andato. Tecnicamente è qualcosa di molto scivoloso perché la lucidità del ricordo può inciampare nell’ovvietà della retorica e sarebbe davvero sgradevole finire a gambe per aria ricordando chi questa regola se l’è data come vademecum nella vita professionale di tutti i giorni. Perché Natale Bruno, cronista di strada (ed è tutt’altro che un’offesa) è stato soprattutto questo: pochi aggettivi, zero fronzoli, tanta sostanza e una montagna di notizie. Ogni giorno, tutti i giorni, tutta la vita.In queste ore, le prime da quando non c’è più, si è detto di tutto di Natale Bruno. Ed è tutto vero. Quindi, proprio per quella regola che aveva scelto come stella polare nella sua vita da reporter, sarebbe ridondante anzi quasi stucchevole aggiungere altro.Trent’anni e più di giornalismo alla vecchia maniera e poi, d’improvviso, in un mondo troppo 2.0, dove larga parte di questo mestiere si sviluppa davanti a un computer che dischiude segreti (?) appoggiati su server nascosti chissà in quale continente, Natale si ostinava a essere orgogliosamente analogico. Conosceva rappresentati delle forze dell’ordine di ogni angolo di questa Isola, magistrati, istituzioni, dirigenti, tutte fonti che contattava fino allo sfinimento per poi trasferirsi ovunque accadesse qualcosa di giornalisticamente rilevante e rendersi conto personalmente di cosa fosse successo.Spesso è stato il primo ad arrivare – magari imbucandosi in uno scantinato di un palazzo, o ben mimetizzato tra i corridoi di un pronto soccorso – ma è sempre stato il primo a comprendere quando la professione e il diritto a informare i propri telespettatori (o lettori) divenivano poi curiosità morbosa da buco della serratura. Roba con troppi aggettivi, ma senza alcuna novità, quasi una pornografia del dolore. Così, quando capiva che s’era superato il limite, lasciava il campo ad altri e si tuffava in nuove storie. Perché una cosa è essere giornalisti, altro è violare immotivatamente la privacy della gente finita giocoforza in quello che diventa poi un servizio televisivo, un take d’agenzia o un pezzo da quotidiano.Natale Bruno è stato un cronista di razza, lo hanno scritto tutti e lo abbiamo ribadito anche noi, ma lo ha fatto non dimenticandosi mai di essere un uomo e che le notizie sono fatte di uomini, di figli, di madri, di famiglie, di dolori, di gioie, di emozioni e di sentimenti.Sarà anche per questa ragione (onestamente assieme a quello che lui stesso riconosceva essere un «brutto carattere») che andava a genio a pochi, ma veniva rispettato da tutti. Insomma uno che si amava o si odiava. O bianco oppure nero. O tutto o niente. Diplomatico mai, dirompente sempre.Ecco, a questo punto, dovremmo concludere scrivendo che «…Natale Bruno lascia un’eredità pesante difficile da colmare e blablabla…», ma lui si arrabbierebbe bollando questo pezzo come il trionfo dell’ovvietà e della retorica, finito appunto a gambe per aria. E sinceramente lui non se lo merita

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