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Il “tesoretto” di Nitto Santapaola e la storia della mafia catanese: tornano in aula le misure di prevenzione

Il boss si è presentato come proposto insieme  al nipote Aldo Ercolano, Enzo Mangion, Giuseppe Cesarotti e il farmacista Mario Palermo

Di Laura Distefano |

Nitto Santapaola è tornato protagonista del racconto giudiziario di Catania. Bisogna andare al processo Dionisio, tante volte “rinviato” indietro dalla Cassazione, per vedere il capomafia di Catania nell’elenco degli imputati. Quella sentenza ha certificato che il boss dei boss di Catania ha comunque avuto un ruolo direttivo nella gestione degli affari del clan Santapaola-Ercolano almeno fino al 2005. Questa volta il boss però si è presentato in aula nel ruolo di proposto. Sta entrando nel vivo il procedimento di Misure di Prevenzione che coinvolge anche il nipote Aldo Ercolano, Enzo Mangion (figlio del defunto Francesco), la vecchia guardia del clan Giuseppe Cesarotti e il farmacista Mario Palermo. Al centro del processo c’è il tesoretto del padrino indiscusso di Cosa nostra etnea.

Santapaola è diventato uomo d’onore in una cerimonia del 1962. Piano piano ha scalato i vertici della famiglia mafiosa catanese anche grazie alla sua capacità di stringere accordi con pezzi dello Stato. Il golpe mafioso, con cui ha defenestrato il capomafia Pippo Calderone ucciso in un agguato nel 1979, il boss lo ha fatto con l’appoggio di Toto Riina e dei Corleonesi. L’84enne Santapaola potremmo considerarlo – ad eccezione di alcuni palermitani e dell’introvabile Matteo Messina Denaro – l’ultimo padrino sopravvissuto alla vecchia Cosa nostra. Un mafioso che in realtà è il padre criminale del modello criminale dell’inabissamento, dove mafia e colletti bianchi fanno affari insieme. Santapaola aveva capito che le Istituzioni non si dovevano attaccare ma si dovevano corteggiare fino ad inquinarle. E diventarne parte.

Negli anni 70 e 80, il boss ha avuto la capacità di farsi fotografare accanto Prefetti e Questori. Le più alte autorità, in quell’epoca grigia, dicevano che a Catania la mafia non esisteva. È servita la dirompente intervista del Prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, pubblicata poco tempo prima del suo eccidio nel 1982, a svelare l’esistenza di un’imprenditoria catanese che vinceva appalti grazie alla spinta della mafia. È quello il periodo in cui il padrino avrebbe creato il  patrimonio finito sotto sequestro lo scorso novembre. I soldi sporchi dei Santapaola sarebbero stati investiti e poi ripuliti.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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