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Il bar, le minacce e le estorsioni: ecco cosa c’è dietro il sequestro milionario a Fraschilla

L'inchiesta sull'esponente del clan mafioso Santapaola Ercolano è nata dalla denuncia di un coraggioso imprenditore 

Di Laura Distefano |

Giovanni Fraschilla, considerato dagli inquirenti vicino a Cosa nostra catanese e destinatario di un provvedimento di sequestro da un milione e mezzo di euro, nel 2014 è diventato portavoce degli affari della cosca. Al titolare di un locale, affiancato da Ciccio Santapaola (figlio di Turi Colluccio e nel 2016 considerato il reggente), ha detto che “quel bar è della famiglia” e quindi avrebbe dovuto sloggiare.

Peccato (per lui) però che quel commerciante non ha piegato la testa e invece ha denunciato alla Squadra Mobile portando tutti alla sbarra, Santapaola e Fraschilla compresi. Il processo davanti alla prima sezione penale del Tribunale è previsto il prossimo 23 giugno. 

Ed è proprio da quella coraggiosa azione civica che è partita anche l’inchiesta patrimoniale che ha portato l’Anticrimine a mettere le mani nel tesoretto aziendale e immobiliare di Fraschilla, che vanta una parentela non certo di secondo piano. È infatti cognato di Cesare Marletta, ritenuto uno dei soldati di Enzo Aiello e che diversi pentiti inseriscono – come raccontato sulle colonne de La Sicilia – nella squadra del Castello Ursino. Ma nella cerchia degli imputati c’è un altro picciotto che farebbe parte di quel gruppo mafioso. E cioè Andrea Corallo, che il collaboratore di giustizia Davide Seminara alcuni anni fa ha descritto come «il braccio destro e fedelissimo di Turi Mirabella detto “Palocco”».

La vicenda giudiziaria è particolarmente delicata. Anche perché nel corso dell’udienza preliminare si sono verificati danneggiamenti ai danni della figlia della vittima, che mentre era incinta fu strattonata proprio dagli estorsori santapaoliani che pretendevano la cessione del locale di viale Delle Medaglie D’Oro. Gli imprenditori sarebbero stati costretti a “mettersi a posto” e a pagare degli assegni postdatati e privi di beneficiario (15 assegni da 3.000 euro e 2 da 2.500 euro) originariamente consegnati a Vincenzo Carmelo Pistorio (unitamente a del denaro contante) come corrispettivo per l’acquisto del locale. Gli assegni però Pistorio li avrebbe consegnati a Fraschilla. Da quel momento sono cominciate le visite a sorpresa, le minacce e le violenze fisiche. Poi Cesare Marletta abita nella stessa via del bar.   L’imprenditore, un freddo pomeriggio di novembre di qualche anno fa, decise di rivolgersi all’Asaec. Da lì cominciò la battaglia giudiziaria. L’Associazione Antiracket evidenzia come «ancora una volta denunciare rappresenta l’unico mezzo attraverso il quale ci si può liberare dalla prepotente violenza mafiosa». «Continueremo a sostenere il coraggio di chi ha deciso di denunciare – scrive il presidente Nicola Grassi – perché sia da esempio e sollecitazione verso chi attualmente si trova indeciso. Denunciare conviene sempre e la sua convenienza sta nel non cedere a ricatti e connivenze che prima o poi risucchieranno l’attività commerciale. Scegliere di stare dalla parte dello Stato significa accedere ai benefici economici e processuali messi a disposizione per chi denuncia; significa dimostrare alla comunità in cui si vive di essere liberi e non schiavi di logiche mafiose che opprimono l’economia e libertà d’impresa; significa decidere, una volta per tutte con chi stare».   COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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