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la polemica

Caso Emanuela Orlandi, accuse e smentite sul coinvolgimento di Papa Wojtyla

Scontro aperto in Vaticano sulle dichiarazioni di Pietro e sulle mosse legali relative all’indagine sulla scomparsa della sorella

Di Fausto Gasparroni |

E’ ormai scontro aperto in Vaticano sulle dichiarazioni di Pietro Orlandi e sulle mosse legali relative all’indagine sulla scomparsa della sorella Emanuela, con i media vaticani – dopo un silenzio iniziale – schierati ora a spada tratta in difesa della memoria del Papa santo, Giovanni Paolo II, da illazioni, sospetti e accuse “infamanti». E’ stata una convulsa giornata quella iniziata oggi con un incontro-lampo col promotore di giustizia Alessandro Diddi e l’applicato Gianluca Perone della legale della famiglia, avvocato Laura Sgrò, convocata come «persona informata dei fatti» per riferire l’origine delle informazioni depositate e riferite da Pietro nel lungo colloquio col magistrato di martedì scorso.

Ma la legale ha scelto di opporre il segreto professionale. Non l’avesse mai fatto, dal momento che, dopo le polemiche dei giorni scorsi sulle pesanti frasi di Orlandi su Karol Wojtyla, i media vaticani – prima Vatican News e poi l’Osservatore Romano – hanno gridato ancora più polemicamente che sulle accuse al Papa polacco «Pietro Orlandi e l’avvocato Sgrò si rifiutano di fare nomi».

Optando per il segreto professionale, secondo i media della Santa Sede, la legale della famiglia Orlandi «si è rifiutata di riferire da chi lei e Pietro Orlandi abbiano raccolto le ‘vocì sulle presunte abitudini di Papa Wojtyla che, secondo quanto raccontato dal fratello di Emanuela durante la trasmissione Di martedì, ‘la sera se ne usciva con due suoi amici monsignori polacchi» e «non andava certo a benedire le casè. Parole che Pietro Orlandi ha pronunciato in diretta su La7 la sera dell’11 aprile, dopo essere stato lungamente ascoltato dal Promotore di Giustizia, lasciando così intendere di voler in qualche modo asseverare il contenuto di un audio nel quale un membro della Banda della Magliana faceva pesanti allusioni sul Pontefice polacco». Sempre per i media vaticani, preferendo “inaspettatamente e sorprendentemente» opporre il segreto professionale, l’avv. Sgrò avrebbe deciso «di non collaborare con le indagini dopo che più volte e pubblicamente, negli scorsi mesi, aveva chiesto di poter essere ascoltata».Immediata e stizzita, via Facebook, la reazione di Pietro Orlandi: «Ma sono impazziti, ma cos’è questo gioco sporco? Ma chi si rifiuta di fare i nomi? Ma se gli abbiamo dato una lunga lista di nomi, ma perché ? Altro che strumentalizzare le parole, qui in questo titolo c’è il peggio del peggio. Ma come, sono andato in primis a verbalizzare proprio per fare i nomi, tra gli altri, riguardo i famosi messaggi whatsapp affinché fossero convocati e interrogati e ora hanno il coraggio di dire che non ho fatto nomi?», e giù di questo tono.Poi, più circostanziata e formale, ma ugualmente molto dura, una lettera dell’avv. Sgrò al prefetto del Dicastero per la Comunicazione Paolo Ruffini, al direttore editoriale Andrea Tornielli e al direttore della Sala stampa vaticana Matteo Bruni, in cui la legale sostiene senza mezzi termini che “attaccare il segreto professionale è attaccare la libertà e la ricerca indipendente della verità. Tale attacco è ciò che avete fatto oggi». Sgrò puntualizza che «una mia personale audizione come persona informata sui fatti è evidentemente incompatibile con la mia posizione di difensore della famiglia Orlandi e dell’attività in favore della ricerca di Emanuela che sto svolgendo. Questo è quello che ho pacificamente rappresentato, come avevo già fatto telefonicamente e via mail, al Promotore di Giustizia e a tutti i presenti».«Per quanto, poi, riguarda la mia posizione, violare il segreto professionale – dovreste ben saperlo – vuol dire non consentire a un difensore di mantenere la propria posizione differenziata, vuol dire alterare i propri rapporti, la propria credibilità, la propria libertà di azione, intralciando il diritto alle proprie autonome indagini», aggiunge. «La violazione del segreto professionale impedisce a un avvocato di svolgere liberamente il proprio lavoro – spiega -. Il segreto professionale è, quindi, baluardo della verità stessa e attaccarlo significa volere impedire a un avvocato di potere apportare il proprio contributo alla verità. Quanto leggo è una pressione su di me a violare la deontologia professionale cui sono tenuta e a cui non intendo, in alcun modo, derogare». In conclusione, l’avvocato precisa che «Pietro Orlandi non ha mai accusato di nulla Sua Santità di Giovanni Paolo II e nessuna persona che io rappresento lo ha mai fatto. Ha chiesto approfondimenti su fatti a lui riferiti». (ANSA).Avv. Sgrò, «contro libertà attaccare mio segreto professionale” (di Fausto Gasparroni)(ANSA) – CITTÀ DEL VATICANO, 15 APR – E’ ormai scontro aperto in Vaticano sulle dichiarazioni di Pietro Orlandi e sulle mosse legali relative all’indagine sulla scomparsa della sorella Emanuela, con i media vaticani – dopo un silenzio iniziale – schierati ora a spada tratta in difesa della memoria del Papa santo, Giovanni Paolo II, da illazioni, sospetti e accuse “infamanti». E’ stata una convulsa giornata quella iniziata oggi con un incontro-lampo col promotore di giustizia Alessandro Diddi e l’applicato Gianluca Perone della legale della famiglia, avvocato Laura Sgrò, convocata come «persona informata dei fatti» per riferire l’origine delle informazioni depositate e riferite da Pietro nel lungo colloquio col magistrato di martedì scorso.Ma la legale ha scelto di opporre il segreto professionale. Non l’avesse mai fatto, dal momento che, dopo le polemiche dei giorni scorsi sulle pesanti frasi di Orlandi su Karol Wojtyla, i media vaticani – prima Vatican News e poi l’Osservatore Romano – hanno gridato ancora più polemicamente che sulle accuse al Papa polacco «Pietro Orlandi e l’avvocato Sgrò si rifiutano di fare nomi».Optando per il segreto professionale, secondo i media della Santa Sede, la legale della famiglia Orlandi «si è rifiutata di riferire da chi lei e Pietro Orlandi abbiano raccolto le ‘vocì sulle presunte abitudini di Papa Wojtyla che, secondo quanto raccontato dal fratello di Emanuela durante la trasmissione Di martedì, ‘la sera se ne usciva con due suoi amici monsignori polacchi» e «non andava certo a benedire le casè. Parole che Pietro Orlandi ha pronunciato in diretta su La7 la sera dell’11 aprile, dopo essere stato lungamente ascoltato dal Promotore di Giustizia, lasciando così intendere di voler in qualche modo asseverare il contenuto di un audio nel quale un membro della Banda della Magliana faceva pesanti allusioni sul Pontefice polacco». Sempre per i media vaticani, preferendo “inaspettatamente e sorprendentemente» opporre il segreto professionale, l’avv. Sgrò avrebbe deciso «di non collaborare con le indagini dopo che più volte e pubblicamente, negli scorsi mesi, aveva chiesto di poter essere ascoltata».Immediata e stizzita, via Facebook, la reazione di Pietro Orlandi: «Ma sono impazziti, ma cos’è questo gioco sporco? Ma chi si rifiuta di fare i nomi? Ma se gli abbiamo dato una lunga lista di nomi, ma perché ? Altro che strumentalizzare le parole, qui in questo titolo c’è il peggio del peggio. Ma come, sono andato in primis a verbalizzare proprio per fare i nomi, tra gli altri, riguardo i famosi messaggi whatsapp affinché fossero convocati e interrogati e ora hanno il coraggio di dire che non ho fatto nomi?», e giù di questo tono.Poi, più circostanziata e formale, ma ugualmente molto dura, una lettera dell’avv. Sgrò al prefetto del Dicastero per la Comunicazione Paolo Ruffini, al direttore editoriale Andrea Tornielli e al direttore della Sala stampa vaticana Matteo Bruni, in cui la legale sostiene senza mezzi termini che “attaccare il segreto professionale è attaccare la libertà e la ricerca indipendente della verità. Tale attacco è ciò che avete fatto oggi». Sgrò puntualizza che «una mia personale audizione come persona informata sui fatti è evidentemente incompatibile con la mia posizione di difensore della famiglia Orlandi e dell’attività in favore della ricerca di Emanuela che sto svolgendo. Questo è quello che ho pacificamente rappresentato, come avevo già fatto telefonicamente e via mail, al Promotore di Giustizia e a tutti i presenti».«Per quanto, poi, riguarda la mia posizione, violare il segreto professionale – dovreste ben saperlo – vuol dire non consentire a un difensore di mantenere la propria posizione differenziata, vuol dire alterare i propri rapporti, la propria credibilità, la propria libertà di azione, intralciando il diritto alle proprie autonome indagini», aggiunge. «La violazione del segreto professionale impedisce a un avvocato di svolgere liberamente il proprio lavoro – spiega -. Il segreto professionale è, quindi, baluardo della verità stessa e attaccarlo significa volere impedire a un avvocato di potere apportare il proprio contributo alla verità. Quanto leggo è una pressione su di me a violare la deontologia professionale cui sono tenuta e a cui non intendo, in alcun modo, derogare». In conclusione, l’avvocato precisa che «Pietro Orlandi non ha mai accusato di nulla Sua Santità di Giovanni Paolo II e nessuna persona che io rappresento lo ha mai fatto. Ha chiesto approfondimenti su fatti a lui riferiti». (ANSA).COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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