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Coronavirus e impresa “Non è giusto che l’imprenditore risponda se un dipendente venisse contagiato dal Covid-19”

Di Gaetano Ravanà |

“Premesso che la salute dei lavoratori, l’osservanza scrupolosa delle misure di sicurezza sui luoghi di lavoro, l’etica e il rispetto per la persona umana e la salute di tutti i lavoratori, è alla base di ogni dinamica aziendale. La necessità di contenere la diffusione del coronavirus ha portato all’emanazione di numerosi provvedimenti, sia a livello Nazionale che Regionale, ma sicurezza e attività d’impresa non hanno trovato un adeguato equilibrio all’interno delle regole emergenziali messe in campo generando spesso grande confusione in chi si è trovato a dover applicare e rispettare queste disposizioni”. 

Lo sostiene il dirigente di Fratelli d’Italia di Agrigento, Gerlando Piparo.

“È il caso del Cura Italia, che arriva a configurare il Covid-19 come un infortunio sul lavoro – continua Piparo – facendo così gravare sull’impresa responsabilità del tutto inappropriate, imponendo una sorta di inversione dell’onere della prova a carico dell’imprenditore che dovrà dimostrare di aver adottato ogni cautela per tutelare la sicurezza del lavoratore il quale, però, potrebbe contrarre il corona-virus fuori dall’azienda. Infatti credo non sarà facile accertare il contagio sul posto di lavoro perché sarà molto complicato, se non impossibile, stabilire se un addetto contagiato ha contratto il virus sul luogo di lavoro o nel proprio ambiente familiare o altrove; inoltre, l’addetto contagiato potrebbe portare il virus all’interno dell’ambiente lavorativo e condizionare fortemente l’attività produttiva contagiando i colleghi. L’articolo 42 del decreto Cura Italia, al comma 2, prevede infatti che il lavoratore contagiato dal Covid-19 verrà iscritto nel registro dell’Inail come caso di infezione da coronavirus in occasione di lavoro ovvero infortunio sul lavoro. Il riconoscimento di infortunio sul lavoro non costituisce di per sé responsabilità penale in capo all’azienda, potrebbe, però, gravare su quest’ultima tale rischio, anche se teorico. Poi, ovviamente, bisognerà capire se il lavoratore può provare di aver contratto il Covid mentre svolgeva attività lavorativa. Ricostruire il momento e il luogo esatto dove il lavoratore ha contratto l’infezione è molto complicato se non impraticabile. Come può quindi un imprenditore assumersi questa responsabilità? Come si fa a stabilire se il lavoratore sia stato contagiato sul luogo di lavoro e non altrove?  Nel momento in cui un lavoratore, nonostante le mascherine, i guanti, il distanziamento e tutte le giuste e precise misure di precauzione e di rispetto di sicurezza sui luoghi di lavoro, contrae il virus, la “falla” si sposta nel campo del datore di lavoro. Per l’imprenditore non sembra quindi esserci scampo! Bisognerebbe rivedere la normativa e tutelare in maniera pratica ed essenziale sia il lavoratore che il datore di lavoro, in un ragionamento in cui lo Stato sia di vero aiuto per tutti (e non uno Stato che sta al di fuori della realtà del tessuto sociale ed economico) e che prenda in considerazione: incentivi per il noleggio di autoveicoli, sgravi sul personale dipendente, rivalutare i costi per le imprese edili per l’incremento dei costi nei lavori pubblici, snellimento nelle procedure di emissione dei certificati di pagamento per le imprese, snellire la burocrazia nei lavori pubblici e privati, immissione di liquidità vera a fondo perduto e non come prestito. Una Italia che deve ripartire guarda agli italiani prima di tutto e non al colore politico e soprattutto “deve”, e scusate l’imperativo, cercare di immedesimarsi con la realtà che noi tutti affrontiamo e dovremmo affrontare ogni giorno per rialzare la testa non da sottomessi ma da protagonisti di una grande rinascita tricolore Made in Italy. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA