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Il pane “agricolo” che rispetta la terra, il grano, le persone

Di Carmen Greco |

Bologna. La scelta delle farine, le lunghe ore di lievitazione, la relazione con le persone, il lavoro inclusivo.Fare il pane è qualcosa di più che impastare acqua farina e lievito, è un processo culturale. Ne sono convinti gli ottantadue panificatori agricoli urbani (che lavorano all’interno di 50 laboratori di panificazione) che a Bologna hanno firmato il loro “manifesto”.

Dieci punti (forse non a caso come i dieci comandamenti, vista la sacralità dell’argomento pane) per spiegare la filosofia di lavoro di questi artigiani, “panettieri nuovi”, che hanno sancito un patto di fiducia con chi, il grano lo coltiva, una dimensione che si era un po’ persa negli ultimi decenni, a favore di una panificazione “tecnica” più legata alla “forza” e alle proteine di una farina che non al cereale da cui è ricavata.

Tra i firmatari del manifesto, scaturito da una riflessione durata oltre un anno e partita da Davide Longoni (Milano), Giovanni Mineo (Milano), Matteo Piffer (Trento) e Pasquale Polito (Bologna), ci sono anche Luca Lacalamita (Trani), Aurora Zancanaro, (Milano), Valeria Messina (Catania). In Sicilia ne fanno parte anche Cannata Sicilian bakery (Messina), panificio “A Maidda” (Trapani).

Valeria Messina (Forno Biancuccia – Catania)

Il gruppo dei Panificatori Agricoli Urbani (Pau) è nato nel 2018 con l’obiettivo di comunicare il legame fra il lavoro in campo e il mestiere artigiano, fondamentale per portare sulle tavole un pane “buono”, ricco di valori sociali e ambientali che ha come base farine agricole, non raffinate, e cereali della tradizione, spesso dimenticati. Un esempio? Il pane fatto con la segala irmana coltivata sull’Etna, un progetto recuperato da Valeria Messina: «Dieci anni fa – racconta – vennero trovati questi semi in una boccia a casa di un signore molto anziano. Un’azienda che fino a quel momento si era sempre occupata solo di ulivi e mandorle ha iniziato a riprodurre questa segale irmana il cui nome deriva forse da “germanico” o dallo spagnolo hermano (fratello). Oggi noi panifichiamo questo cereale di cui vado molto orgogliosa, per me significa portare in tavola un pezzo della mia terra, un pane del proprio territorio».

Ma quali sono i punti chiave del manifesto?

Al primo posto l’idea che Fare il pane è un atto agricolo. E ancora (sintetizzando, il manifesto completo è su https://panificatori-agricoli-urbani.prezly.com/il-manifesto) 

Il panificatore è un paesaggistaPromuoviamo modelli agricoli sostenibili e resilienti: siamo pianificatori e non solo panificatori.Il pane ha nome e cognomeIl pane è fatto di persone: i contadini che coltivano i cereali, i mugnai che li trasformano in farine, gli artigiani che le panificano, i consumatori che se ne cibano. I laboratori dei panificatori hanno pareti trasparentiUn grido gentile ad aprire porte dei laboratori, a condividere ricettari e strategie d’impresa, senza paura. Combattendo “il segreto” con la collaborazione e l’apertura.

Crediamo in un futuro artigianoNel lavoro artigiano mente e mano sono collegate e anche la tecnologia è al servizio della filiera. Un artigiano consapevole del passato, attivo nel presente e attento al futuro, al progresso.

Il panificatore è un soggetto dinamicoOgnuno di noi all’interno del proprio laboratorio fa ricerca. La volontà e la capacità di innovare si esprimono in termini di creatività e di apertura.

Le nostre botteghe sono presidio di gentilezzaLe nostre botteghe e i nostri laboratori sono spazi accoglienti, ambienti permeabili e aperti allo scambio immateriale.

Il pane è nutrimentoMangiare il pane deve far bene e deve essere un piacere.

Il pane è relazioneCi siamo dati un compito ambizioso: ricordare alle comunità la centralità del pane.

Siamo espressione di biodiversitàCrediamo in un ambiente capace di accogliere nuovi stimoli, nuove spighe, e lo stiamo costruendo insieme.

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