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Club di immigrati fa battere ad Amburgo il grande cuore di Lampedusa

Club di immigrati fa battere ad Amburgo il grande cuore di Lampedusa

Hanno dato alla squadra il nome dell’Isola che li ha accolti e coccolati

Di Gaetano Ravanà |

Una storia da libro cuore che si snoda in una città famosa per la presenza di prostitute e preti illuminati, dove si respira l’aria salmastra del porto cittadino. Benvenuti ad Amburgo e, più precisamente, nella frazione di St Pauli. Questa storia comincia nell’inverno del 2012. A Lampedusa, arriva l’ennesimo barcone carico di giovani che hanno lasciato tutto quello che possedevano per tentare di rifarsi una vita nel vecchio continente. Sono stremati, la gente del posto, sempre molto votata al sacrificio e al rispetto per gli altri, si dà un gran dafare per assicurare un pasto, una coperta per combattere il freddo pungente delle notti delle Pelagie. Questi ragazzi si sentono coccolati, ma capiscono ben presto che non possono rimanere lì, devono raggiungere la Germania. Dopo varie peripezie, riescono nel loro intento. Una trentina di loro ragginge Amburgo. Vengono subiti accolti bene. Ma la loto fortuna dura poco, perché il Senato di Amburgo (ovvero l’esecutivo che amministra la città), alla fine del programma nell’aprile del 2013, spinge per rispedire in Italia quelli che ormai sono diventati in città «I rifugiati di Lampedusa». Il lavoro non c’è, i rifugiati vivono per strada: l’unica soluzione è rimandarli da dove sono venuti. Loro però desistono e, trovano accoglienza in una chiesa di St Pauli. Nel quartiere ad ovest del centro di Amburgo sono abituati a vedere lo straniero. Tra i locali a luci rosse e la Reeperbahn, la via dei cordai, c’è un pastore di nome Sieghard Wilm, che decide di ospitare i rifugiati nella propria chiesa. In breve tempo, molti abitanti di Sankt Pauli portano cibo e vestiti al pastore Wilm. Tra quelli che danno aiuto ci sono i tifosi della squadra di calcio del St Pauli. Era solo questione di tempo, prima che i fan della seconda squadra di Amburgo (dopo la omonima squadra locale, vincitrice anche di una Coppa Campioni del 1983 e mai retrocessa in serie B) si presentassero alla porta della chiesa locale. Il St Pauli è una squadra diversa dalle altre. A metà anni Ottanta, il club decise di distinguersi, diventando un vero fenomeno cult del calcio tedesco ed europeo. Un cult cominciato quando la società decise di trasferire lo stadio vicino Reeperbahn, nel cuore pulsante del quartiere. Nel giardino della chiesa del pastore Wilm, arrivano dei container dove i ragazzi possono rifugiarsi per l’inverno successivo. I tifosi del St Pauli coinvolgono il club, che ospita i ragazzi a vedere qualche allenamento prima e delle amichevoli poi. Ma il club di St Pauli è una polisportiva, con uno staff numeroso e pronto a dare una mano. Succede così che trenta dei rifugiati accettano la pazza idea: formare una squadra di calcio, allenata da cinque ragazze della squadra del St Pauli di pallamano. Al momento di dare il nome alla squadra, questi ragazzi avanzano l’ipotesi di chimarla «Fc Lampedusa Hamburg». Il perché è facile da immaginare: «A Lampedusa – dicono – ci hanno trattato benissimo, siamo arrivati nudi e scalzi, ci hanno dato degli indumenti, delle scarpe, anche delle coperte e tanto cibo per sfamarci. Non abbiamo altro modo per sdebitarci se non intitolare a quella splendida isola e ai suoi abitanti, il nome della nostra squadra». Il pastore Wilm e i dirigenti del St Pauli, rimangono senza fiato, appoggiano subito l’idea. Così ha inizio l’avventura di una nuova squadra, che è parte integrante della Polisportiva St Pauli, ma per tutti i giocatori sono «i lampedusani». Dopo tanti allenamenti, dopo tante sudate e prove di schemi, da qualche settimana, la squadra è stata iscritta in un torneo regionale, la nostra Eccellenza. Sugli spalti ci sono sempre tanti striscioni che sembrano rimarcare l’appartenenza di questo gruppo di ragazzi «Forza Fc Lampedusa». La formazione, tutta di colore, con le allenatrici tutte belle e tutte bionde, ha già vinto il campionato della simpatia, ovunque questi ragazzi si esibiscono volano applausi e incoraggiamenti. Razzismo? Beh qualcuno ancora li chiama «negri», ma a loro questo poco importa, hanno trovato il loro Eldorado.

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