Notizie Locali


SEZIONI
Catania 14°

Trentuno annisenza Pippo Favatra rimpianto, rimorsoe tanta autocritica

Trentuno anni senza Pippo Fava tra rimpianto, rimorso e tanta autocritica

Gli appuntamenti in memoria del giornalista ucciso dalla mafia il 5 gennaio 1984 a Catania

Di Carmelita Celi |

CATANIA – «La vecchia anima del Sud è sempre viva ma continua a morire ogni giorno». Generoso e intransigente, sintetico e senz’appello, Giuseppe Fava era anche questo, sommo maestro di “brevitas” scientifica a cui antropologi e storici sarebbero arrivati poi. Ed è, Fava, ancora oggi – giorno in cui ricorrono i 31 anni dalla morte barbara e nobilissima, cinque spari di pura mafia lo freddarono poco dopo le nove di sera davanti al Teatro Verga – di una modernità che sconcerta e che lo rende pulsante e “ingombrante”, in una parola, vivo e perciò refrattario a martirologi e icone votive.  

Di ciò ne ha piena coscienza il Teatro Stabile di Catania che, per iniziativa del suo presidente, Nino Milazzo (di Fava amico e collega di lungo corso) lo ha ricordato ieri, al Palazzo della Cultura, con straordinario senso della misura e urgenza intellettuale e umana tout court, in una altrettanto necessaria polifonia d’interventi. In prima linea Milazzo, che si è detto autore di un “prologo” della giornata della memoria e perentoriamente annotava che nulla può bastare a onorare Fava finché il suo esempio non sarà imprescindibile e le sue opere regolare oggetto di studio nei luoghi deputati. «La vicenda Fava non deve essere ridotta al tragico epilogo ma deve diventare fonte d’ispirazione artistica e sguardo attento a un amico perduto e ammirato. E, accanto al rimpianto, il rimorso e l’autocritica: Catania lo condannò alla solitudine del combattente, sorda e cieca ad allarmi che già nel 1972 denunciavano “mondi di sopra” e “mondi di sotto” tra cui galleggiava un “mondo di mezzo” dalle logiche immonde”, e Milazzo accostava l’attività pittorica di Fava al piglio di George Grosz, l’avanguardista tedesco che la becera follia del Nazismo bollò pittore “d’arte degenerata”. “Il proboviro” e li rivedi, quei notabili in nero nell’edizione firmata da Puecher per lo Stabile: seduti in sinistra “chorus line”, le mani prensili e appoggiate sulle ginocchia ma pronte ad arraffare potere e danaro, “lo strumento più forte della civiltà”. Era il novembre del 1972 e di Fava (che aveva già avuto apprezzata cittadinanza di drammaturgo con “Cronaca di un uomo” e “La violenza”) debuttava “Il proboviro”, ovvero “Opera buffa sugli italiani”.  

La stessa pièce liberamente ispirata all’ “Ispettore generale” di Gogol che Sergio Sciacca, critico teatrale e letterario, firma autorevole di questa testata e già collaboratore di Fava al “Giornale del Sud”, definisce a buon diritto “la sua creazione giornalistica tra le più felici”. E, da autentica inchiesta, sottoposta a revisioni e varianti di cui la Fondazione Fava – presieduta dalla figlia dello scrittore, Elena – è in possesso e di cui Sciacca sollecitava la pubblicazione, non senza didascalie che risultano “il servizio fotografico più tagliente sull’amministrazione della Sicilia e di Catania”. E, annotava Sciacca, se l’Ucraina di Gogol sta alla Russia come la Sicilia di Fava sta all’Italia, le due terre, sedi letterarie più antiche e più blasonate delle terre “madri”, rivendicano una Weltanschauung di cui la satira è cifra portante.  

C’era una volta “Opera buffa sugli italiani”. E prima che un agguerrito cast d’interpreti (Giampaolo Romania, Aldo Toscano, Liliana Lo Furno, Camillo Mascolino, Francesco Russo, Federico Fiorenza) ne proponessero ampi stralci, ben governati dalla regìa di Federico Magnano di San Lio, Elena Fava ripercorreva la genesi della commedia. E lo faceva attraverso uno scritto autografo del padre che, dal canto suo, l’“assisteva” dalla bellissima foto sullo schermo alle sue spalle, scattata nel ’76 durante la trasmissione“Voi ed io” di Radiorai. “Pensa se… ci dicemmo con Mario Giusti. Rinunciai persino a rileggere Gogol, preso com’ero dal bisogno di vendetta e liberazione del cittadino indifeso”, riferiva Fava. “Meglio che il dramma umano si converta in divertimento teatrale, meglio se la risata non riuscirà a spegnere la commozione”. Quarantun’anni dopo, “Il proboviro” brucia ancora. Anche alle più moderate e “accomodanti” coscienze civili.  

Tanti appuntamenti in ricordo di Pippo Fava

L’assessore Rosario D’Agata, in rappresentanza del sindaco di Enzo Bianco e della Giunta municipale, ha deposto oggi alle ore 10,30 una corona d’alloro in memoria di Pippo Fava davanti alla lapide posta nella via intitolata al giornalista ucciso dalla mafia trentun anni fa.   Alle 17,30 presidio della società civile sotto la lapide di via Fava; alle 18, al Centro culturale Zo, incontro-dibattito su “La mafia comanda (ancora) a Catania? ”. Partecipano Lirio Abbate, Sebastiano Ardita, Rosy Bindi e Claudio Fava. Seguirà la consegna del premio nazionale “Giuseppe Fava nient’altro che la verità” a Lirio Abbate. Alle 21, nella sede di Città Insieme”, via Siena 1, assemblea dei “Siciliani giovani” sul tema: il giornale, l’organizzazione, i progetti.

COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA
Di più su questi argomenti: