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L’odiata Europa che non sa amarsi

L’odiata Europa che non sa amarsi

Di Carlo Anastasio |

L’Europa non prende i nostri cuori. Europei siamo e ci diciamo, ma senza passione. Ben altro ardore, seppure deforme e atroce, hanno quei nostri nemici che sparano sulle persone e sul significato stesso dell’essere Europa. Loro danno e cercano la morte con una furia che noi neanche sfioriamo nel maggiore dei nostri sforzi: semplificarci la vita. Salvo esigue eccezioni, non abbiamo più fedi, ideologie e tanto meno fanatismi che ci coinvolgano e ci tengano mobilitati costantemente – e non solo per il breve termine di un «Je suis Charlie» – nell’impegno di dar valore ai nostri valori. Eppure avremmo di che essere fieri. Nulla al mondo è oggi più elevato dell’Europa; qualcosa lo è altrettanto, forse, ma nulla lo è di più. E nulla è più veramente, intimamente europeo della cultura dell’area europea: nel senso che la cultura di qualsiasi luogo, nel Vecchio Continente, è sempre sovranazionale non meno che locale, perché più delle pestilenze e dei conflitti, nella piccola e densa Europa, hanno circolato le idee e i sentimenti, per millenni. Così che, consapevolmente o no, le curve delle sedie del finlandese Aalto echeggiano le geometrie del barocco italiano. E l’inglese Shakespeare elaborava in chiave geniale gli stimoli di Verona o della Danimarca. E il pensiero protestante e il pensiero cattolico, Riforma e Controriforma, ferocemente e cruentemente contrastandosi, hanno però reciprocamente dato impulso a speculazioni intellettuali e spirituali preziose, alla fine, per tutti. E l’antica eccellenza siciliana ebbe cultori e promotori nella gente di Svevia. E la capacità innovativa e la precisione organizzativa dell’industria tedesca hanno il rigore creativo dei costruttori di cattedrali gotiche che operavano a Parigi o a Westminster o a Milano. E l’irriverente e dissacrante Illuminismo francese, che adesso affiora anche nella satira iconoclasta di Charlie Hebdo, ebbe radici nel laicismo scientifico di Galileo, e humus lontano nella messa in discussione del potere temporale e del potere religioso già in auge all’epoca di Dante. Tutto questo, e moltissimo altro, è il contraltare di una storia europea per larga parte oscura e letale. Persecuzioni, devastazioni, massacri, guerre dei trent’anni e guerre mondiali, olocausti, fino al secolo scorso. Ma sull’oceano di sangue e abominio del passato si alzano, nel presente, vette di qualità eccezionale. È un patrimonio comune all’Europa intera e assolutamente peculiare, imparagonabile, sostanzialmente differente da altri patrimoni non (o non ancora) europei. Imparagonabile – è il caso di sottolinearlo in questi giorni – all’Islam, sebbene anche l’Islam abbia straordinarie grandezze. Un patrimonio che non si deve dissipare nell’inerzia, nel vuoto di partecipazione, o nelle ipocrisie cerchiobottistiche del politicamente corretto. Noi siamo l’Europa e non siamo altro. Siamo gli eredi di valori insostituibili. Ed è nel riconoscimento e nell’accettazione della diversità che può esserci confronto e dialogo, non certo nell’annullarsi. Occorre più Europa, e non meno, per metterci in relazione con la diversità altrui e soprattutto per respingere l’annichilimento che altri vorrebbero imporci. Basterebbe, per questo, che semplicemente gli europei fossero consapevoli di se stessi. Basterebbe che l’Europa si amasse tanto quanto alcuni la odiano.

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