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Prostitute in strada e centri massaggi hot ma Catania dice no alla zona a luci rosse

Prostitute in strada e centri massaggi hot ma Catania dice no alla zona a luci rosse

L’amministrazione non si riconosce nella proposta del sindaco di Roma, ma il problema rimane

Di Concetto Mannisi |

CATANIA – I centri massaggi che spuntano come funghi nelle zone più eleganti della città; le signorine poco vestite – o, se preferite, seminude – che passeggiano in attesa di clienti lungo la circonvallazione, in viale Africa, in via Domenico Tempio e pure nelle traversine di via Coppola e via Sturzo; le escort che attraverso il web e gli annunci sui giornali provano a garantirsi da “lavorare”… Quello del sesso è un mercato che non conosce crisi. Al punto tale da rendere necessaria una riflessione sull’esigenza di legalizzare la prostituzione, riservare allo Stato gli introiti che finiscono invece, il più delle volte, nelle casse della criminalità organizzata, garantire una sicurezza anche dal punto di vista igienico-sanitario a “signorine” e clienti.   Anche Marino, sindaco di Roma, sulla scorta di quanto accade ad Amsterdam, Amburgo e anche in altre grandi città europee, ha provato a lanciare l’idea di una “red zone” nella Capitale: è stato costretto a fare retromarcia perché nella prefettura capitolina non l’hanno presa bene, ma intanto è già pronto un disegno di legge bipartisan che nelle prossime settimane inizierà il suo iter nella commissione Affari sociali di Palazzo Madama per arrivare ad un’abrogazione o, tutt’al più, a una modifica della famosa Legge Merlin.   E Catania? La città dello storico quartiere a “luci rosse” di San Berillo (che ormai ospita alcune vecchie prostitute e qualche trans), quanto potrebbe essere disposta a ritornare sui propri passi, magari spostando in aree periferiche il “carrozzone” di quanti sono interessati – e non sono pochi! – a tale attività? «Se la domanda è rivolta all’amministrazione comunale – a parlare è il vicesindaco Marco Consoli, confortato dal parere dell’assessore alla Legalità, Saro D’Agata – Mi sento di poter dire che Catania è pochissimo interessata. Abbiamo lavorato tanto per risanare la piaga di San Berillo, non vedo perché dovremmo crearne un’altra altrove. E poi dove? Credo che a nessuno farebbe piacere di dover ospitare tutto ciò che ruota attorno a questo “fenomeno” sotto o ad un passo da casa».   Diciamo che il problema si pone già, ad esempio, per chi abita in via Sturzo, via Coppola o viale Africa…. E ciò nonostante i controlli frequenti delle forze dell’ordine. «Lo sappiamo – prosegue Consoli – e non ignoriamo la problematica, ma qui bisognerebbe integrare i due aspetti: quello repressivo, su cui siamo molto attenti, ma anche quello, per così dire, persuasivo. Assistenti sociali e associazioni di volontariato dovrebbero provare ad avvicinare questo donne, spesso vittime della tratta, convincendo loro a collaborare con la giustizia. C’è una legge del ‘98 che garantisce, per chi non è comunitario, il permesso di soggiorno. Si potrebbe partire da questo».   Molte prostitute sono comunitarie, però. «E, allora, si potrebbe procedere con contravvenzioni ai clienti. Niente di legato alla prostituzione, ma ai divieti di sosta questo sì. Magari per qualcuno potrebbe risultare imbarazzante giustificare certe contravvenzioni alle due di notte. In ogni caso, lo ripeto, c’è molta attenzione sul fenomeno e il sindaco Bianco ne farà argomento di discussione in sede di Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica».   D’accordo, ma si torna sempre al punto di partenza: la prostituzione c’è e continuerà ad esserci ed è da ipocriti far finta che tutto si risolverà parlando per strada con le ragazze o sollecitando alle forze dell’ordine controlli costanti. Sia all’aperto sia nei centri massaggi…. «E’ vero, ma noi dobbiamo muoverci nell’ambito di quel che prevede il legislatore. Il dibattito in proposito è interessante e pure infuocato, ma fin quando non ci saranno le modifiche da più parti sollecitate – se mai ci saranno – beh, noi continueremo sulla strada segnata dalla legge, richiedendo interventi alle forze dell’ordine e alle associazioni di volontariato e cercando di scoraggiare i clienti ad andare in cerca di questo genere di avventure. Di “red zone” a Catania, però, non se ne parla».

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