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Catania, violenza sulle donne: una piazza, due manifestazioni

Di Pinella Leocata |

Dal lato degli «uomini che dicono basta alla violenza sulle donne» l’avv. D’Antona racconta che l’idea di questo appuntamento gli è venuta quando, alla domanda di cosa la sorprendesse di meno delle notizie date dalle tv, sua figlia tredicenne ha risposto: «la violenza sessuale contro le donne». Di qui l’impegno ad affrontare «questo problema che è culturale». Maurizio Parisi, stampatore, è secco: «Siamo contrari a certi atteggiamenti riprovevoli di noi maschi. Certe volte siamo animali. E va detto che il problema della violenza sulle donne è un problema di cultura. Abbiamo interi quartieri popolari lasciati a se stessi, dove i ragazzi non hanno spazi e opportunità per fare sport e attività culturali. Per questo l’intervento dello Stato è essenziale come l’educazione in famiglia e a scuola. E si dovrebbe partire dalla televisione dove le donne, soprattutto nella pubblicità, sono presentate come oggetti. Dovrebbero cambiare soprattutto i media che raccontano le violenze in una maniera che istiga. E finiamola di dire che è colpa delle donne, del modo in cui si vestono e si comportano. E’ l’atteggiamento degli uomini che va arrestato». E punito, aggiunge Giacomo, conducente di autobus. «Se si arriva a dire che due ragazze ubriache sono consenzienti… E poi la violenza domestica che rimane impunita per cui un uomo si sente coperto, tranquillo». Lo ripete anche l’avv. Biagio Tinghino de «La città felice». «La violenza sulle donne è un problema di noi uomini. Ne siamo noi i protagonisti, in negativo. Si dice che i violentatori sono i pazzi, gli extracomunitari, i soggetti altri, invece la violenza sulle donne deve interrogare tutti noi uomini sul nostro modo di stare al mondo».

E un altro uomo, il presidente del Senato Pietro Grasso, parla – attraverso una lettera aperta- al di là della strada, nella piazza convocata dalla Cgil. «A nome di tutti gli uomini vi chiedo scusa… E’ un problema che parte dagli uomini e solo noi uomini possiamo porvi rimedio». Qui i partecipanti sono stati invitati a presentarsi con un tocco di rosso e con un libro in mano, per leggere brani contro la violenza sulle donne, e soprattutto per ribadire l’importanza del ruolo della cultura e dell’educazione. «Io insegno a scuola – dice Pina Palella della Cgil – e vedo la rabbia delle ragazze e dei ragazzi nei confronti di questa violenza diffusa e della subcultura che permane. Bisogna fare educazione di genere in classe». Intanto c’è chi legge un passo di «Marianna Ucria», chi una poesia di Alda Merini, e chi ribadisce i contenuti dell’appello «Avete tolto senso alle parole» lanciato dalla Cgil in tutta Italia affinché sia applicata subito la convenzione di Istanbul, sia cancellata la depenalizzazione dello stalking, sia costruita una «cultura del rispetto a partire dalla scuola», perché si diano mezzi e risorse ai centri antiviolenza e si cerchino case sicure e occasioni di lavoro per le donne che fuggono da situazioni di violenza familiare. Ancora. L’appello chiede che gli operatori dell’informazione «s’interroghino sul senso delle parole» e che si censuri «chi si bea della cronaca morbosa». Infine chiede che «sia potenziato subito il servizio di pubblica utilità contro la violenza sessuale di genere» e che magistratura e forze dell’ordine non sottovalutino le denunce delle donne in pericolo o abusate.

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