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A caccia di vini vulcanici: una nicchia, ma di grandi potenzialità

Di Redazione |

CATANIA – Scoprire i vini vulcanici, frutto di una viticoltura estrema che rappresenta una nicchia dal grande potenziale per l’Italia. E’ il tema a cui il patron di Merano WineFestival e WineHunter, Helmuth Köcher, ha voluto dedicare la “Caccia del Mese” per approfondire i temi meno noti nel mondo della viticoltura. In Italia esistono varie aree di tipo vulcanico dove nel tempo le eruzioni hanno creato un substrato terrestre particolarmente adatto alle coltivazioni, in particolare la viticoltura. Da questi suoli ricchi di fosforo, magnesio e potassio derivano vini perlopiù bianchi caratterizzati da grande mineralità, acidità e da una complessità e sapidità difficilmente raggiungibili altrove.

«I terreni vulcanici – spiega l’enologo Silvio Foti tra i maggiori esperti dell’Etna – hanno una capacità che dal punto di vista chimico viene chiamata potere tampone, che con l’acidità porta ad una dolcezza che si traduce in uno stimolo profondo e lungo per le papille gustative».

I vini vulcanici risultano quindi freschi e di ottima beva, dal gusto ricco ed equilibrato con un potenziale di longevità. Il viaggio alla scoperta dei vini vulcanici ha portato Köcher a far tappa in Campania dove, proprio in prossimità del cratere del Vesuvio, ha degustato e selezionato il Summa 2016 delle Cantine Olivella, vinificato con uva Catalanesca del Monte Somma coltivata in questa zona già dal XV secolo.

Il WineHunter si è poi spostato poi sull’Etna dove ha degustato Alizée 2017, Etna Bianco della cantina Theresa Eccher, un vino composto per il 70% da uva Carricante e per il 30% da Catarratto coltivate a 900 metri di quota. Un viaggio che termina alle isole Eolie, dove ha selezionato una Malvasia delle Lipari Nàjm Passito dell’annata 2014, che nasce da uve 95% Malvasia e 5% Corinto Nero. 

Il Consorzio di Tutela dei Vini Etna Doc rappresenta il 92% delle aziende presenti sul territorio del vulcano. I soci sono 116, e salgono a 250 se si calcolano anche tutte le aziende solo produttrici di uva. Nel 2017 la rivendicazione di uva atta a produrre la Doc Etna è stata pari a 902 ettari di superficie per un potenziale di circa 5 milioni di bottiglie.

Il distretto vitivinicolo dell’Etna era noto anche alle civiltà del passato, viste le origini antichissime della viticoltura della zona. Ne dà notizia il poeta Teocrito nel III secolo a.C. e ulteriore conferma viene da alcune monete del V secolo a. C.

La Doc Etna, è stata riconosciuta nel 1968. L’area di produzione della denominazione di origine interessa parte del territorio dei comuni di Aci, Sant’Antonio, Acireale, Belpasso, Biancavilla, Castiglione di Sicilia, Giarre, Linguaglossa, Mascali, Milo, Nicolosi, Paternò, Pedara, Piedimonte Etneo, Randazzo, Sant’Alfio, Santa Maria di Licodia, Santa Venerina, Trecastagni, Viagrande e Zafferana Etnea.

Anche se viene spontaneo pensare subito all’Etna, il vulcano italiano più conosciuto, sono molte altre le zone vulcaniche che danno vita a vini con queste caratteristiche, dalla Valle d’Aosta fino a Pantelleria: piena espressione della capacità italiana di produrre anche nelle aree e nelle condizioni più complicate.

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Qualche esempio in ordine sparso? I Castelli Romani e Colli Albani, dai quali nasce il Frascati; i Campi Flegrei, in Campania, nell’area del Vesuvio; l’Irpinia con i suoi vini bianchi longevi, come Fiano e Greco di Tufo; la zona del Vulture, vulcano spento della Basilicata, dove nasce l’Aglianico del Vulture. E ancora la zona di Soave, nel veronese, dove nel 2012 il Consorzio per la Tutela del Soave ha avviato il progetto Volcanic Wines, l’associazione delle etichette DOC di origine vulcanica di tutta Italia fondata per “fare rete” a livello nazionale e valorizzare questi vini unici al mondo.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA