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Per il tartufo siciliano è il momento delle regole: ecco il ddl che disciplina la materia

Di Carmen Greco |

Se ne parla sommessamente da anni, ma finora è rimasto solo un auspicio. Dare delle regole alla raccolta del tartufo in Sicilia, un prodotto che esiste e che viene commercializzato in maniere più o meno “carbonara”, senza norme, senza garanzie per i consumatori e senza tutela per l’ambiente.

Adesso è arrivato, forse, il momento di mettere un punto a questa deregulation. Un’occasione per discuterne è il convegno che si è svolto oggi a Palermo martedì dal titolo “Norme in materia di raccolta, coltivazione, commercio e tutela del consumo dei tartufi nella regione siciliana” (Ars, Sala Piersanti Mattarella dalle 9,30), nel quale politici, amministratori, studiosi e cavatori di questo prezioso fungo sotterraneo si ritroveranno per fare in punto sullo stato dell’arte.

Base di partenza, il disegno di legge depositato all’Ars (primo firmatario Di Pasquale, poi Cafeo e Catanzaro; ma ne è stato presentato un altro simile dal deputato Tancredi ndr) il 19 gennaio scorso, in materia di raccolta, coltivazione commercio dei tartufi siciliani. Un settore, quello dei tartufi Made in Sicily che si sta espandendo a macchia d’olio in questi ultimi anni, grazie alla spinta – anche gastronomica – che la tartuficoltura sta suscitando con tutto il corollario di opportunità economiche che si porta appresso.

Fino ad oggi, però, non c’è mai stata una legge ad hoc e l’unica norma alla quale si poteva fare riferimento era quella che regolamenta la raccolta “classica” dei funghi.

Accertato ormai che il tartufo è presente in quasi tutto il territorio siciliano si rende necessaria una regolamentazione che metta dei “paletti” legislativi. In sostanza, il disegno di legge propone l’adozione di regole simili a quelle per la raccolta dei funghi spontanei, a partire dal tesserino per i raccoglitori di tartufi, da un “tetto massimo” per la raccolta, dai tempi e dalla modalità di raccolta, oltre ai criteri per la lavorazione e la conservazione e così via, oltre a tutta una serie di regole “tecniche” (per esempio, divieto di raccolta di notte, nelle zone protette per la fauna selvatica, nei giorni in cui è consentita la caccia vagante, di raccolta di tartufi non maturi o avariati, di raccolta con più di due cani regolarmente iscritti all’anagrafe canina).I cavatori dovranno “andare a scuola”, si fa per dire, è prendere un tesserino (da rinnovare ogni 5 anni) che li autorizzi a raccogliere i tartufi. Al massimo si potranno prendere fino a 500 grammi di tartufi al giorno (“bianchi”) e fino a 1.500 gr. del gruppo (“neri”), pagando per il tesserino amatoriale 50 euro l’anno per quello professionale 100 euro da versare ai comuni di residenza, soldi che finiranno per il 70% nelle casse della Regione e per il restante 30% in quelle comunali.

Questo, almeno, propone il disegno di legge – 14 pagine articolate – che detta le regole anche per il riconoscimento delle tartufaie coltivate (altro business che fa gola a molti).

Tra le “chicche”, il riconoscimento di un marchio d’identità dei tartufi siciliani, un sistema di certificazione e tracciabilità e una certificazione in possesso del cercatore di tartufi che attesti specie, zona, data di raccolta, numero e peso complessivo degli esemplari. Una delle cose più interessanti è anche la dicitura in etichetta dei prodotti contenenti “aromi di sintesi” (bismetiltiometano o simili) che spesso vengono rifilati come tartufo e venduti a peso d’oro.

Twitter: @carmengreco612

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