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Cara di Mineo: da Maroni fino agli scandali e ai licenziamenti, oggi Salvini spegne la luce

Di Mario Barresi |

CATANIA – L’ha detto e l’ha fatto. Lo farà oggi. Festeggiando, con un blitz a 40° all’ombra, il funerale del Cara di Mineo, che comunque dal 2 luglio non ospita più alcun migrante. Matteo Salvini spegne la luce del Centro accoglienza richiedenti asilo, «il più grande d’Europa». Imprescindibile all’epoca di un’emergenza che non c’è più. E dunque svuotato, con progressiva scientificità, fino a renderlo inutile.

Salvini arriva da ministro dell’Interno. Proprio il ruolo rivestito dal leghista Roberto Maroni nel 2011, quando, con Silvio Berlusconi premier, si decise di trasformare il “Residence degli Aranci” – 400 villette in stile Usa, appena lasciate dai Marines e rimaste sul groppone della Pizzarotti – in quella che fu definita «un’eccellenza, un simbolo dell’accoglienza», che «può diventare un modello in Europa». Parole di Maroni, fiero e sorridente nel sopralluogo con il Cavaliere, all’epoca in cui Salvini era poco più di un ambizioso consigliere comunale a Milano. Ma i sindaci del comprensorio non la presero bene. Il 24 marzo de 2011 una decina di loro, tutti con la fascia tricolore, protestò contro l’arrivo dei primi migranti sbarcati a Lampedusa. «Questa non è una riserva indiana, presto diventerà un lager», disse – con premonizione di sinistra – l’allora sindaco di Caltagirone, Franco Pignataro.

Il progetto, vaticinò Maroni, «dovrà comunque essere condiviso con il territorio». E lo presero in parola, a modo loro, alcuni amministratori locali, poi finiti nella rete delle tante inchieste – parentopoli, voto di scambio, truffe negli ingressi e via indagando – che negli anni hanno coinvolto il Cara. «Un caso di Stato», lo definì il procuratore di Caltagirone, Giuseppe Verzera, quand’era già scoppiato lo scandalo più grosso, ovvero il collegamento con Mafia Capitale, impersonato da Luca Odevaine, il “facilitatore”.

Per approfondire leggi anche: ODEVAINE, IL “RE” DI MINEO

La tranche siciliana di quell’indagine è oggi un processo, che vede fra gli imputati l’ex sottosegretario alfaniano Giuseppe Castiglione per il bando che Raffaele Cantone definì «un abito su misura». Castiglione, che ha sempre rivendicato «la trasparenza e l’efficienza della gestione in una fase di emergenza storica», ha chiesto – nel marzo 2017 – il rito abbreviato. Ma il processo, anche per lui, è al palo: proprio oggi, ironia della sorte, a Catania un’udienza importante in cui si dovrà sciogliere la riserva sulle prove documentali, compreso l’elenco dei testi di Castiglione, che ha citato – fra gli altri – proprio l’ex ministro Maroni e il capo della polizia, Franco Gabrielli.

Affari e scandali. Ma anche violenze e morti. E non solo nelle faide dentro un centro che scoppiava (fino a 4.173 persone nell’estate 2014), tant’è che oggi Salvini “dedicherà” la chiusura ai coniugi Solano, uccisi nella loro villetta di Palagonia da un ivoriano ospite del centro, condannato all’ergastolo. Il Cara è stato «un errore enorme che si paga in termini di controllo della legalità», il giudizio del procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro. Un sospiro di sollievo lo tirano anche gli agricoltori della zona. Vittime di furti seriali nelle campagne, ma anche carnefici dei migranti cooptati dai caporali. Sulla sicurezza c’è ora un protocollo fra Viminale e Regione: potenziamento di forze dell’ordine e investimento sulla videosorveglianza. Un modello virtuoso (citato dallo stesso Salvini ospite di Coldiretti) per «ridare al territorio la sua vocazione storica».

Ma se qualcosa c’è da salvare di questi due lustri di ombre, è di certo l’“industria della solidarietà”. Una rete di accoglienza e servizi nata dal nulla, ma che – al netto di ciò che i pm etnei chiamarono «raccolta di voti e mercimonio delle assunzioni» – ha fatto crescere negli anni professionalità di livello, oltre che operatori e volontari che ci hanno messo il cuore. Circa 500 assunti ai tempi d’oro, con un migliaio di posti nell’indotto.

Tutto finito, ormai da tempo, con una lenta eutanasia scandita dalla protesta dei sindaci – sempre con la fascia, come nel 2011 – contro lo smantellamento del Cara. Che ora chiude, davvero. Con «misure compensative» invocate dal territorio. Proprio le stesse chieste dopo l’apertura. Il prefetto Claudio Sammartino, che ha gestito in modo impeccabile l’ultima fase delicata, sovrintenderà al «ripristino dello stato originario degli immobili», previsto dall’ultimo contratto, con la riconsegna a Pizzarotti in autunno. Quando il Cara di Mineo sarà ormai solo un ricordo.

Twitter: @MarioBarresi

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