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Gioele e quel corpicino che non si trovava In campo i legali del caso di Sarah Scazzi

Di Redazione |

«Forse oggi c’è soprattutto da chiedersi come sia stato possibile non vedere il corpicino di Gioele, a poca distanza da sua madre, e durante ben sedici giorni di ricerche. Le battute in zona sono state molte, con un dispiegamento di molti uomini tra vigili del fuoco, polizia, carabinieri, forestali, corpi speciali ed unità cinofile, per poi arrivare al ritrovamento avvenuto grazie ad un volontario, dopo sole 5 ore di ricerche. E purtroppo non è la prima volta che accade».

Lo hanno detto gli avvocati Nicodemo Gentile e Antonio Cozza legali della famiglia di Viviana Parisi citando i casi di Yara Gambirasio, Elena Ceste e Eleonora Gizzi. I penalisti sono stati in passato impegnati in importati casi di cronaca, come l’omicidio di Sarah Scazzi ad Avetrana. «Queste evidenze, allora – aggiungono i due avvocati – devono farci riflettere sulle modalità con cui vengono condotte le ricerche nel nostro Paese: sicuramente qualcosa non funziona nelle procedure d’intervento, per cui è diventata un’esigenza non più procrastinabile quella di intervenire e di potenziare questo settore con metodi europei, evoluti, moderni e ancora più professionali». 

«Al di là di dubbi ed osservazioni – hanno aggiunto Nicodemo Gentile e Antonio Cozza  – vogliamo denunciare l’amarezza per le pesanti indiscrezioni che stanno emergendo circa la vita privata e lo stato di salute di Viviana, che purtroppo non può più difendersi. La donna stava sicuramente vivendo un periodo di reale affaticamento – aggiungono i due penalisti – ma non è emerso allo stato alcun elemento, neanche indiretto o latente, che possa far presupporre l’intenzione della stessa di uccidere suo figlio. Questa ipotesi dell’omicidio-suicidio appare forzata ovvero il “commodus discessus”, la facile via d’uscita, in considerazione del fatto che sembra assai improbabile che Viviana avrebbe percorso oltre 100 km per lanciarsi poi da un traliccio della corrente (che non costituiva sicuramente la meta del suo viaggio ) o avendo a disposizione il terrazzo di casa e senza sottovalutare neanche il fatto che, la mattina prima di uscire, aveva messo in preparazione il sugo per il pranzo con marito e figlio. In certe circostanze, in assenza tra l’altro di una indispensabile quanto completa, valida e professionale relazione psico/ socio/ familiare e di risultati qualificati di natura medico legale – chiosano gli avvocati della famiglia Parisi – sarebbe preferibile da parte di tutti, il silenzio e il rispetto per due morti così dolorose e per le loro famiglie».

E intanto la famiglia di Viviana ha eslcuso la tesi del suicidio: «Non c’è stato alcun tentativo di suicidio» ma soltanto «il dubbio» della donna di «avere assunto un quantitativo leggermente maggiore del farmaco prescrittole». Lo hanno detto i legali della famiglia Mondello, gli avvocati Pietro Venuti e Claudio Mondello, in un nota congiunta. I due penalisti rendono anche nota parte del contenuto del “verbale di pronto soccorso” del giorno in cui la donna è stata accolta in “codice giallo” e descritta come “paziente in atto eupnoica (frequenza respiratoria normale, ndr), in atto vigile, orientata, collaborante, cute e mucose rosee».

«Circa due ore l’accesso – ricostruiscono gli avvocati – Viviana era a casa. Il giorno seguente: a mare con la propria famiglia. Cosa era accaduto? Nel dubbio, Viviana non ne era certa, che avesse assunto un quantitativo leggermente maggiore del farmaco prescrittole ha parlato di questa circostanza ai familiari, i quali – come sempre solerti, attenti, amorevoli e premurosi – nel dubbio, preferivano accedere a un pubblico nosocomio per i dovuti accertamenti. Quindi – conclude la nota – nessun tentativo di suicidio». COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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