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Procuratore di Caltanissetta, la corsa (a fari spenti) per l’incarico di primo piano

Di Redazione |

Caltanissetta. Si guida a fari spenti. Almeno per adesso. Anche perché, in quello che sarà uno dei posti più delicati da assegnare nell’era post rimozione di Luca Palamara, conviene a tutti non usare gli abbaglianti. Ma la corsa è già partita: entro fine anno, al netto di prevedibili lockdown e altri imprevisti, si dovrà scegliere, fra 17 aspiranti, il prossimo procuratore di Caltanissetta. Dopo che Amedeo Bertone, dallo scorso settembre, è andato in pensione (senza party né proclami, come nel suo stile), la Procura è retta dall’aggiunto con più anzianità, Gabriele Paci. Che, da magistrato di trincea contro la mafia (titolare di indagini e processi molto importanti), è fra i più quotati alla successione, non soltanto per dare un senso di continuità al lavoro del suo predecessore. Bertone è riuscito a normalizzare un ufficio che rischiava – soprattutto nel processo a Montante, conclusosi con una condanna a 14 anni in primo grado – di essere trascinato in una guerra nel fango anche per i vecchi rapporti di alcune toghe con l’imputato eccellente. E invece il capo, senza perdere il suo aplomb, ha saputo blindare i suoi pm. In un contesto complicato, non soltanto per le inchieste sull’ex leader confindustriale.

Mafia e antimafia, tritolo e gessati, finti pentiti e finti paladini, arsenico e vecchi merletti. Caltanissetta non è una Procura come tutte le altre. E non lo è mai stata. Soprattutto per il “fattore P”. Ovvero: la competenza sulle indagini che coinvolgono magistrati di Palermo. Anche se, come annota con un pizzico di nostalgica malizia una vecchia toga ormai nella pace dei sensi di carriera, «prima a Caltanissetta si facevano le indagini e i processi sui giudici uccisi dalla mafia, mentre adesso si fanno sui giudici indagati». Anche se fosse così, la sostanza non cambia. Che si parli di depistaggio sulla strage di Via D’Amelio o di sistema Saguto, giusto per citare due dei processi più importanti aperti in questo momento, fra Palermo e Caltanissetta c’è un sistema di vasi comunicanti. Con Davide che, per legge, giudica Golia.

Ed è anche per questo “fattore P” che la successione del catanese Bertone può essere condizionata dalla geopolitica giudiziaria, con un’istanza, robusta e tutto sommato comprensibile, di arrivare a una scelta palermocentrica, dopo gli anni in cui i più talentuosi e ambiziosi di Piazza Vittorio Emanuele Orlando sono stati costretti a svernare a Messina. E non è un caso che molti dei magistrati che hanno presentato domanda siano legati a Palermo per radici personali o rami professionali. Il nome forte, oggi, sarebbe quello di Salvatore De Luca, l’aggiunto più titolato del procuratore di Palermo, Franco Lo Voi, con il quale condivide anche l’appartenenza a Magistratura indipendente. Sarebbe la scelta più “osmotica” fra le due Procure (di gran lunga, ça va sans dire, la preferita dai palermitani), rafforzata comunque dalla caratura del curriculum di De Luca, soprattutto in Dda.

Ma c’è chi ipotizza, per il motivo esattamente opposto a quello per cui l’aggiunto palermitano parte fra i favoriti, che alla fine possa spuntarla anche un papa straniero. Uno, in stile quasi bergogliano, potrebbe arrivare «dalla fine del mondo». Ad esempio dalla Procura di Tivoli, di cui è capo Francesco Menditto. Poco noto al grande pubblico, ma raffinato giurista (soprattutto sulle misure di prevenzione), il magistrato napoletano, già membro del Csm, ha dalla sua un certo prestigio in Magistratura democratica, ma sconta minori competenze in materia di mafia, requisito decisivo per chi ambisce alla Procura di Caltanissetta. Fra i pretendenti non siculi sarebbe spendibile anche Rodolfo Sabelli, aggiunto a Roma, ex presidente dell’Anm e alfiere di Unicost, un’appartenenza correntizia che potrebbe indebolirlo a prescindere dalla sua effettiva voglia di emigrare in Sicilia. E allora, in questo contesto, potrebbe avere molte più chance un cardinale della porta accanto: Gaetano Paci, aggiunto a Reggio Calabria. Originario di Canicattì, ha lasciato buoni ricordi a Palermo (dove ci fu lo scontro con l’allora procuratore Pietro Grasso sulla gestione dell’indagine per mafia su Cuffaro), con competenze in Dda poi rafforzate nella trincea calabrese. Paci piace soprattutto alle toghe di sinistra, ma gode di una stima trasversale, con punte in AeI, che in questo Csm è l’ago della bilancia.

Sarà una partita molto equilibrata, con nessuno che parte strafavorito. «Anche perché in campo non ci sono né Cristiano Ronaldo, né Messi», sibila un vecchio magistrato pronto a godersi lo spettacolo dalla tribuna Vip. Eppure fra i 17 in campo (inizialmente erano 19, ma in due hanno revocato la domanda: Lucia Musti, procuratore di Modena, e Gilberto Ganassi, aggiunto a Cagliari) ci sono molti che procuratori già lo sono: in ordine di anzianità di carriera, Massimo Palmeri (Enna), Emanuele Crescenti (Barcellona Pozzo di Gotto), Giuseppe Verzera (Caltagirone), Fernando Asaro (Gela) e Roberta Buzzolani (Sciacca). Quasi tutti benvoluti sia a sinistra sia a Palermo. In lizza anche due aggiunti siciliani di un certo peso, come Fabio Scavone (a Siracusa) e Giovannella Scaminaci (a Messina). E, pur non essendo un “graduato”, un outsider insidioso potrebbe diventare Nicolò Marino, ex assessore regionale e “libero pensatore” in Mi, oggi gip a Roma con assegnazione a Reggio Calabria. Marino, catanese, fu fra i pm di punta a Caltanissetta e potrebbe provarci, anche se dicono sia più interessato al posto di aggiunto che si aprirà nella sua città dopo il pensionamento di Lello Petralia. Un altro gradito ritorno a Caltanissetta sarebbe quello di Giovanni Di Leo, di cui molti qui ricordano il proficuo lavoro in Dda, oggi sostituto procuratore generale in Cassazione, vicino ad Area. Anche Di Leo è palermitano, come Sergio Barbiera, sostituto pg di punta a Palermo, altro giurista di rango (fu vicecapo di gabinetto di Angelino Alfano in Via Arenula) in competizione, seppur non partendo nelle prime file.

Se la scelta del prossimo procuratore di Caltanissetta dovesse davvero rispondere agli input “depalamarizzanti” del Guardasgilli Alfonso Bonafede, più peso specifico dovrebbe avere, a parità di altri requisiti, un parametro oggettivo come l’anzianità. Fra i 17 che hanno presentato domanda, l’unico che può sfoggiare la “lettera A” è Angelo Giorgianni. Classe 1954, fu senatore diniano e sottosegretario agli Interni nel primo governo Prodi, ruolo da cui dovette dimettersi per le polemiche per il “verminaio Messina”, dal quale uscì indenne. Tornato nella sua città d’adozione, Giorgianni è consigliere di Corte d’Appello; i bookmaker, a pochi anni dalla pensione, gli attribuiscono quotazioni piuttosto basse. Dopo di lui, con la “B” ci sono soltanto Menditto, Palmeri, De Luca e Marino. Tutti gli altri aspiranti sono “C”, tranne Antonino Fanara (fra i più apprezzati ed esperti pm a Catania), che è “D”. Nel gergo togato Fanara è «l’agnello sacrificale», cioè il magistrato con minore anzianità che, con l’esclusione della propria categoria in prima battuta al Csm, consente ai colleghi della fascia superiore (in questo caso la “C”, con alcuni papabili) di rimanere in lizza.

Lo show down sul prossimo procuratore di Caltanissetta si avvicina. L’appuntamento, in quinta commissione a Palazzo dei Marescialli, non è stato ancora fissato. Ma è presumibile che la prima scrematura ci sia già entro l’anno. Magari per arrivare a una finalissima Palermo-Resto del Mondo in plenum.

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