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Bob Marley, 40 anni fa l’indimenticabile concerto di Milano: io c’ero

Di Giovanni Finocchiaro |

Quarant’anni fa Bob Marley, accompagnato dai fedelissimi Wailers, entrò nella storia della musica internazionale grazie anche al concerto di Milano, un evento che segnò il passaggio politico, culturale, sociale dagli Anni Settanta agli Ottanta. Una sorta di Woodstock italiana con centomila ragazzi arrivati da ogni angolo d’Europa pronti a celebrare il re del reggae, profeta di una religione – il rastafarianesimo – che fondava le proprie radici su pace, amore, solidarietà tra popoli e contemplazione di una vita che aveva come caratteristica l’odore acre della marjiuana.

Marley, con la pubblicazione dell’album Uprising, era al top di una popolarità che sconfinava ben oltre la valenza dell’artista. Aveva riavvicinato le due fazioni politiche che nella sua Giamaica si contrastavano in maniera violenta. E Bob, sul palco del One Love Peace Concert, aveva idealmente fatto firmare la pace ai due leader. Due mesi prima dello show di Milano (replicato il giorno dopo a Torino con 70 mila persone a danzare sulle note di Exodus, Punky Reggae Party e Lively up yourself) Marley aveva partecipato come ospite d’onore alla nascita dello Zimbabwe, Stato fondato sulle ceneri della Rhodesia.

Quarant’anni dopo le vibrazioni della musica a levare che stregarono il mondo, contaminando gli artisti più importanti (dai Clash ai Police, passando per Frank Zappa, Clapton e per gli stessi Stones che collaborarono a un disco di Peter Tosh) pervadono chi ha avuto la fortuna di assistere a quel concerto. Senza dimenticare che fecero da apripista Roberto Ciotti, un favoloso gruppo funky come gli Average White Band e, prima di Marley, suonò il 25enne Pino Daniele che già aveva raggiunto un successo assoluto. Pino propose tra i brani in scaletta Sotto ‘o sole, Uè man, Chillo è nu nuono guaglione, Musica, musica e ovviamente Je so’ pazzo.

La colonia siciliana era nutrita e ben rappresentata. Carmelo “Frenky” Russo, professionista catanese, ha incorniciato tra la discografia completa di Marley, il biglietto di quel concerto: «A Catania, già nel 1978, si sviluppò il movimento rasta. Il nostro covo era Musical box, negozio di dischi che aveva sede in piazza Umberto. Il titolare Ernesto Giannotta, Roberto Calì, il povero Giuseppe Girgenti e il sottoscritto tra gli altri cominciammo a condividere una filosofia di vita basata su amore, pace, rispetto razziale. Fu la spinta decisiva, sposammo la idee di base al di là della religione che professava Marley. In un suo pezzo, War, Marley canta “Finchè il colore della pelle di un uomo non avrà più valore del colore degli occhi, finchè i diritti umani fondamentali non saranno ugualmente garantiti a tutti…” Ecco questo era il sunto del nostro credo. Fu la scintilla che ci fece scattare in piedi all’unisono».

E così, Russo, alla vigilia di quel 27, afosissimo, giugno di 40 anni fa, affrontò in treno il viaggio improvvisato (oggi direbbe last minute) per Milano in compagnia della ragazza che oggi è sua moglie: «Arrivammo a destinazione, comprammo dai bagarini un biglietto al costo di 4.500 lire, al ritorno dormimmo col sacco a pelo in stazione per ripartire alle 6 del mattino. Una maratona snervante. Quella sera ebbi, però, la sensazione di assistere a un evento storico, irripetibile. Si riaprivano le frontiere italiane ai concerti di livello assoluto dopo i disordini continui degli Anni Settanta che avevano causato lo stop a manifestazioni di alto profilo. Del resto erano anni complicati politicamente e non solo».

Cosa si porta dentro, Russo, dopo 40 anni? «Marley prima di cantare il primo brano, Natural Mystic, si rivolse alla platea: “Questo è un grande giorno in onore di Hailè Selassiè (il Negus d’Etiopia considerato il dio del credo Rastafari, ndr). C’è un flusso mistico naturale che soffia nell’aria”. Da quel momento i brividi percorsero i nostri corpi. Uniti dentro un nuvolone provocato dall’erba che fumammo per tutta la sera in centomila, vivemmo un momento di storia».

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