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Palermo, blitz anti mafia: 34 arrestati, tra cui il fratello del cooperante Lo Porto

Di Fabio Russello |

Torna in carcere boss Tagliavia, era ai domiciliari C’è il fratello il fratello di Giovanni Lo Porto, l’operatore umanitario sequestrato da Al Qaeda nel 2012 e assassinato tre anni dopo durante un’operazione antiterrorismo degli Usa da un drone, tra le persone arrestate dalla polizia e dalla Finanza di Palermo, che hanno azzerato il clan mafioso di Brancaccio. Secondo gli investigatori, Lo Porto sarebbe stato il braccio destro di Pietro Tagliavia, capo del mandamento mafioso di Brancaccio e della famiglia di «Corso dei Mille», che dai domiciliari continuava a «governare» il clan. Quella dei Tagliavia è una famiglia mafiosa di Palermo coinvolta anche nelle stragi del ’92 e del ’93. Lo Porto secondo l’accusa avrebbe gestito il racket del pizzo.

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Lo Porto è stato arrestato da Polizia e Guardia di Finanza di Palermo, su ordine del Gip nell’ambito di indagini della Direzione Distrettuale Antimafia, insieme ad altre 33 persone tra Sicilia, Toscana, Lazio, Puglia, Emilia Romagna e Liguria. E’ stato azzerato il clan di Brancaccio ma anche persone vicine alla cosca e sono state sequestrate numerose aziende, per un valore complessivo di circa 60 milioni di euro.

Le indagini, eseguite dalla Squadra Mobile e dal Gico del Nucleo di Polizia Tributaria di Palermo, hanno consentito di fare luce su episodi di minacce, danneggiamento, estorsione, furto e detenzione illegale di armi da parte di esponenti della cosca di Brancaccio e di ricostruire l’organigramma delle famiglie mafiose che appartengono al mandamento, definendo ruoli e competenze di ciascuno e individuando i capi.

L’inchiesta ha svelato il controllo, da parte della mafia, di un gruppo imprenditoriale che opera in diverse regioni, tra le quali Sicilia e Toscana. Polizia e Guardia di Finanza stanno sequestrando veicoli e autoveicoli utilizzati per la commissione dei reati contestati e aziende riconducibili ai mafiosi arrestati.

GLI AFFARI E GLI ARRESTATI. Oltre a Pietro Tagliavia, che da capo del mandamento, guidava il traffico di stupefacenti, pensava al sostentamento dei detenuti e dei loro nuclei familiari attraverso la gestione della cassa comune, govermnava le estorsioni attuate sul territorio di riferimento e gestiva, attraverso prestanome, un gruppo di imprese – operanti sul territorio nazionale principalmente nel settore della commercializzazione degli imballaggi industriali nonché del gioco del lotto abusivo nel mandamento da lui controllato anche diversi altri esponenti del clan di Brancaccio. Tra essi Claudio D’Amore, Bruno Mazzara e Giuseppe Lo Porto, tutti collaboratori di Tagliavia; Francesco Paolo Clemente, Francesco Paolo Mandalà, Gaetano Lo Coco incaricati del controllo delle numerose aziende, tutte intestate a prestanome, utilizzate per realizzare le frodi di natura fiscale, conseguendo il monopolio regionale e una posizione dominante nel restante territorio nazionale nella commercializzazione degli imballaggi industriali; Giuseppe Caserta e Cosimo Geloso, rappresentanti della famiglia di “Brancaccio”; ed infine Giuseppe Mangano, Giuseppe Di Fatta e Antonino Marino, rappresentanti della famiglia “Roccella”.

Sono state ricostruite decine di estorsioni perpetrate ai danni sia di imprese edili impegnate in importanti lavori di ristrutturazione sia di piccole attività commerciali storicamente attive nel territorio e in occasione di una delle ricorrenti feste rionali, lo stesso clan ha autorizzato l’installazione di stand espositivi e monopolizzando i guadagni.

Nei casi in cui le vittime hanno cercato di resistere alle pressioni degli associati non sono mancate le violente ritorsioni, che hanno trovato manifestazione in incendi di intere attività commerciali, in episodi di violenza privata e in danneggiamenti di notevole entità. Il clan ha fornito costantemente assistenza economica a favore dei carcerati ed è stato anche rinvenuto un registro riportante tutte le somme versate a favore dei singoli detenuti.

Scoperto anche il controllo, da parte del clan, di un “gruppo imprenditoriale”, distribuito su diverse Regioni ma particolarmente radicato in Sicilia e Toscana, il quale, ha commesso divetrsi reati tributari in particolare utilizzando fatture false per decine di milioni di euro. Le aziende in questione – anche attraverso continui mutamenti degli organi societari e delle compagini imprenditoriali – si sono inoltre sottratte agli accertamenti del fisco ed alla coattiva riscossione delle imposte accertate in seguito a verifiche fiscali, arrivando a sviluppare complessivamente volumi d’affari annui, in relazione alle vendite effettivamente operate, per oltre 50 di milioni di euro, “foraggiando” senza soluzione di continuità la cosca mafiosa di riferimento, destinataria finale dei proventi derivanti dalla vendita degli imballaggi industriali, di fatto incassati senza il versamento di imposte.

Il gruppo di imprese facente riferimento al mandamento mafioso ha, così, potuto prosperare e guadagnare posizioni di mercato a discapito degli operatori corretti, diventando uno dei leader nazionali del settore, anche in virtù dei prezzi particolarmente concorrenziali praticati.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA