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Da The Barbarians alla Valle dei Templi, il teatro di Gaetano Aronica trova un’altra dimensione

Di Luigi Mula |

«Mi vengono i brividi nel pensare che finalmente il Teatro Pirandello torna a dire qualcosa alle persone».

Gaetano Aronica non nasconde la sua emozione. Dopo mesi di chiusura, infatti, la massima istituzione teatrale agrigentina alza il sipario: «Si sposta, però, all’aperto, alla Valle dei Templi», aggiunge l’attore e regista agrigentino, che prosegue: «In questo periodo vogliamo tutti uscire a respirare a pieni polmoni. Andare ai templi, a godere delle bellezze della nostra terra e anche delle bellezze del nostro teatro».

Un palcoscenico nuovo, dunque, per Gaetano Aronica che, con la Compagnia del Teatro Pirandello, dirige (a quattro mani con Giovanni Volpe) uno spettacolo “scoppiettante” dal titolo “Veleni – Festino al tempo di Peste”, scritto “in una sola notte” e liberamente ispirato dalle opere di Alexander Sergeyevich Pushkin e Lucio Apuleio Madaura.

Lo spettacolo è prodotto dalla Fondazione Teatro Pirandello del Comune di Agrigento, in collaborazione con il Parco archeologico e paesaggistico della Valle dei Templi.

Dunque, il Teatro Pirandello riparte?

La gente mi ha sempre chiesto quando avremmo ricominciato. Questo senso di responsabilità non mi ha mai preoccupato, anzi mi ha dato grande entusiasmo, a me ed alla compagnia tutta che è pronta ad affrontare le molteplici avventure di questa estate. Sarà un’estate bellissima, abbiamo scelto uno spettacolo originale che attraverso grandi metafore narra anche dell’oggi. La scommessa del teatro Pirandello è quella di realizzare un teatro necessario. Lo spettacolo si pone delle domande importantissime.

Il titolo è originale. Quando nasce l’idea?

“L’idea di questo spettacolo è nata in una sola notte. Vale la pena di ricordare la favola di quel pittore che, chiamato dal suo re per fargli un ritratto, dopo un anno di ospitalità a corte, non aveva neanche tentato di iniziare l’opera. Una sera fu avvertito che l’indomani mattina il re lo avrebbe cacciato via. Il giorno dopo il pittore si presentò con il quadro compiuto, di inimmaginabile bellezza. Il re gli chiese come avesse fatto a creare quel capolavoro in una sola notte e il pittore rispose che non l’aveva creato in una notte, ma durante tutto l’anno, poiché non aveva pensato ad altro”.

Rappresenta un po’ ciò che è successo con Veleni?

“Dopo avere ragionato a lungo sul progetto dello scorso anno, Il risveglio dell’Umanità, in cui si raccontavano , tra le altre cose, la storia di Gesù e di una tribù di uomini liberi in cerca di un nuovo inizio attraverso gli scrittori eretici del ‘900, mi è sembrato importante creare un progetto con una storia altrettanto potente e suggestiva che parlasse alla gente di oggi, attingendo dalle origini dell’umanità. Purtroppo, dopo questo durissimo anno, in cui gli umori sono ben diversi da quelli della scorsa estate, in cui la fiducia che il virus potesse essere debellato in tempi brevi era tanta, è invece aumentato un diffuso senso di insicurezza”.

La pandemia, dunque, ha condizionato anche la sua ispirazione?

“Credo che questa pandemia abbia stravolto il mondo come una guerra, e che purtroppo, nonostante la fiducia nell’antidoto, le conseguenze non siano prevedibili . Abbiamo solo una certezza: che tutto sia cambiato. Non sappiamo se siamo migliori o no, se in un momento in cui la vita sembra valere meno, l’uomo ne stia ricercando il senso ultimo nel bene o nel male. Dopo avere compiuto ricerche sulle pestilenze, i conflitti fra i popoli e la ricerca della felicità, è stato il caso a farmi imbattere in un volumetto acquistato venticinque anni addietro, che ha illuminato le mie ricerche ed è diventato una preziosa fonte creativa. Ne è nata una storia molto originale con lampi di sorprendente attualità, che credo possa riguardare tutti e induca ad interrogarsi sugli eterni principi del bene e del male che ruotano intorno ai sette vizi capitali dell’Umanità”.

Di cosa tratta Veleni?

“Ho trovato, appunto, in quella memoria gli elementi che potessero dare unità di luogo, tempo e azione a questa storia di grandi peccati e piccole virtù: un banchetto di sopravvissuti che celebra il proprio auto isolamento mentre la peste intorno imperversa. La chiave dello spettacolo non è tragica, ma briosa, musicale e divertente. Le azioni degli uomini non sempre sono nobili, figuriamoci i loro peccati. Ognuna di queste storie incastonate nella cornice di un festino in tempo di peste , racconta di personaggi illustri e meno illustri e dei loro peccati capitali”.

Chi ci sarà in scena?

“Ci saranno attori, musicisti e cantanti, danze e sortilegi, personaggi grotteschi, capitani fanfaroni, servi furbi, donne diaboliche e candide fanciulle. La storia racconta di veleni e sentimenti, di passioni forti, incontrollabili, di un mondo che cambia in una direzione che è destino ma anche cronaca di un percorso che l’uomo dentro di sé conosce da quando si è fatto lui stesso destino, andando incontro alle disuguaglianze, agli egoismi, ai giochi di potere, per accumulazione, come fossero i valori di un nuovo mondo”.

Che emozioni ha provato alla ripartenza?

“L’emozione è quella di essere ritornati a guardare la Valle dei Templi dopo un anno ed essere attraversati da un sentimento ambivalente. Da una parte quello di avere trascorso un anno lunghissimo che sembrava non avere sbocco, dall’altra guardando i Templi , guardando il mare da Agrigento mi sembra che il tempo non sia mai passato”.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA