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«Vi racconto mio marito Angelo, drogato di Catania»

Di Rino D’Alessandro |

L’abito del personaggio non vorrebbe indossarlo. Stretto o largo che le stia poco importa! Al telefono andava ripetendo «sono soltanto una casalinga, cosa vuole che interessi di me alla gente?».

Poi un accordo transazione in nome di una antica conoscenza, risalente a oltre dieci anni fa, quando chi scrive faceva le prime esperienze come cronista sportivo: «Venga a prendere un caffè da noi, poi si vedrà».

Grazia Codiglione in Massimino, 54 anni portati bene, figlia di un tranviere di cui conserva un ricordo quasi mistico («era un angelo»), studi interrotti a 16 anni per amore, mentre frequentava con notevole profitto il secondo anno di magistrale, è la moglie di Angelo Massimino imprenditore edile e «padrone» del Catania.

Massimino è il personaggio ciclicamente più amato e più odiato da quella cospicua parte di cittadini convinti che il calcio sia l’unica occasione di affermazione civile della città. Di lui si è detto ormai tutto, attorno a lui sono fioriti aneddoti e «cattiverie», di lui si è parlato e si continua a parlare: nei salotti «bene» e alla pescheria, per lui, che nella gestione ormai quasi ventennale della squadra è passato più volte «dalla polvere all’altare» e viceversa, si sono persino fondati partiti di «pro» e di «contro». Come per i «grandi dittatori» intramontabili e inamovibili si arriva persino a sussurrare: «O’ presidente sta male, forse lascia per motivi di salute».

Di Grazia Codiglione che pure è la maggiore azionista della Società per Azioni Catania, si sa poco. Restìa a uscire allo scoperto, si parlò di lei e per pochi giorni – il tempo di una velocissima buriana quando, all’indomani della partita Catania-Milan, arrabbiata con gli arbitri, sentenziò: «C’è del marcio nell’AIA», e presentò una denuncia della quale non si è saputo più nulla. Poi il ritorno nell’ombra.

Signora Massimino, come si vive accanto all’uomo più popolare e impopolare di Catania?

«Molto male. Ormai se allo stadio piove è colpa di Angelo Massimino. C’è stato un periodo in cui non potevo più uscire di casa; venivo segnata a dito: “Vedi quella è la moglie di Massimino”, detto con un tale disprezzo, come se mio marito fosse, che ne so, il mostro di Marsala… il peggiore approfittatore del mondo… E non lo è… Mio marito è un uomo fondamentalmente buono. Ha un pessimo carattere, questo sì; manca di diplomazia, è impulsivo. Ma le persone impulsive non sono mai veramente cattive. Se la gente lo conoscesse, come lo conosco io, cambierebbe opinione… ».

La difesa del marito, naturalmente di parte, è appassionata. Grazia Codiglione parla senza quasi prender fiato. Un buon quarto d’ora del nostro incontro davanti alle tazzine di caffè scivola su questioni squisitamente attinenti la dirigenza della squadra. Chi pensava che la «fìrst lady» del calcio catanese fosse uno strumento succube in mano al marito-dominatore potrebbe anche ricredersi.

Signora Massimino, ma se come lei sostiene, gestire la società è come mettersi delle sanguisughe sulla pelle, se col calcio suo marito rischia ogni giorno di rovinarsi, perché continua a restare alla guida del Catania?

«Mio marito è un drogato. Sì, un drogato. Per lui il Catania è una droga, non può farne a meno. Di recente ho seguito alla TV un programma sui tossicodipendenti, sulle enormi difficoltà che questi ragazzi incontrano per disintossicarsi. Ecco, ho capito che la droga di mio marito è il Catania».

Il Catania o il calcio?

«Non il calcio in genere, ma proprio il Catania. Ma lo sa che quel pomeriggio dell’82, quando tutta l’Italia era appiccicata ai televisori, me compresa, per seguire Italia-Brasile, lui se ne è rimasto in giardino ad innaffiare i peperoni? E io a gridargli “Angelo ha segnato Rossi, Angelo ha segnato Falcao…”».

Come ha conosciuto suo marito?

«L’ho sposato a 16 anni – risponde rasserenandosi un po’ – Lui ne aveva meno di venti. I nostri genitori si conoscevano. A quei tempi ero studentessa, frequentavo la seconda magistrale. Angelo in verità non era il mio ideale di uomo. Un po’ come tutte le sedicenni sognavo un giovane colto, elegante e magari bellissimo. Fu la sua caparbietà a farmi innamorare. Faceva cose folli per me. E così, visto che c’erano delle opposizioni in famiglia, siamo scappati».

Un matrimonio d’amore.

«Senza dubbio. A quell’epoca Angelo era praticamente squattrinato. Suo padre non volle dargli nulla per punirlo».

Vorrebbe tornare indietro? O meglio: pensa mai che la sua vita sarebbe stata più serena, se avesse sposato un impiegato o un funzionario, meno popolare, magari meno benestante, ma che le avrebbe dato una vita più serena?

«Come si fa a rispondere dopo 40 anni di vita insieme. No, non credo che avrei voluto un altro. Lei conosce la canzone di Mina “Grande, grande”, quella che dice “Con te dovrò combattere non ti si può pigliare come sei… “. Ecco, credo che questa canzone rifletta un po’ il nostro ménage».

Avete avuto tre figlie; chi si è occupato della loro educazione?

«Io, naturalmente. E credo di essermela cavata abbastanza bene. Sono tre brave ragazze che hanno sposato tre bravi ragazzi, nonché ottimi professionisti. Comunque quando erano piccole, in famiglia mio marito rappresentava la figura paterna severa. Quando si comportavano male minacciavo di riferire tutto al padre, anche se poi non lo facevo mai. Adesso sono una nonna di ragazzi e ragazze che sono quasi adulti e mi accusano di essere una “nonna troppo giovane”».

Ha paura della vecchiaia?

«Sono già in cammino, ma non mi fa paura. Prego soltanto il Signore di non farmi diventare mai un peso per gli altri».

È religiosa?

«Molto. Vado a Messa ogni sabato».

E suo marito?

«Anche lui, molto più di quanto si possa credere. Non è un praticante, non frequenta le funzioni, ma il suo portafogli è pieno di santini. E poi ha fatto costruire anche un altare dedicato alla Madonna».

Ha mai avuto timore per lei o per uno dei suoi familiari di un sequestro di persona?

«So purtroppo che queste cose accadono, ma ho preferito sempre allontanare questo pensiero. E poi noi non siamo così ricchi… L’altro giorno alla posta c’era un ragazzotto che osservava il mio borsellino, e allora io gli ho detto: “Guarda che a me mi vogliono bene anche i ladri” e lui si è messo a ridere».

Eppure la mafia esiste…

«Non riesco a credere che possa esserci gente così cattiva. Credo che anche nel peggiore delinquente ci sia un fondo di bontà… ».

E quelli che spacciano la droga?

«Ho dei nipoti molto giovani, come ho detto. Per fortuna sono ragazzi assennati, i loro genitori sono in gamba, ma quando capita anch’io li metto in guardia».

Come trascorre il suo tempo libero?

«Prima andavo spesso al cinema, ma adesso che le TV private portano il cinema in casa lo faccio molto meno. Mi piace leggere un po’ di tutto; attualmente sto leggendo “Mille camere” di Biagi».

Che definizione darebbe di lei? Si sente una donna fragile o una donna energica?

«Mi sento innanzitutto una casalinga, una madre di famiglia che ha cresciuto dei figli e adesso si occupa dei nipoti. Il mio carattere? Talvolta sono fragile. Quando è necessario, però, riesco a diventare energica».

Non energica al punto da convincere suo marito a lasciar perdere col calcio, a disintossicarsi dalla “droga” del Catania…

«È il mio grande cruccio. L’edilizia va male per tutti, è un momento di grande crisi. Mio marito sostiene che non riesce a vendere anche per la cattiva immagine che è stata fatta di lui, ma io non sono d’accordo. La crisi è del settore. Eppure continuiamo a rischiare soldi per la squadra. Se facciamo un passo falso siamo rovinati… A volte dico a me stessa, sono una madre incosciente, ho dei figli, dei nipoti, non dovrei lasciargli dilapidare tutto. Ma non c’è niente da fare. Per disintossicarlo ci vorrebbero anche interventi esterni, di gente seria disposta a rilevare ti Catania, ma c’è davvero questa gente?».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA