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Il processo

Mafia, la difesa dell’imputato: «L’omicidio di Nino Agostino e della moglie non è stata opera della mafia ma di poliziotti infedeli»

L'arringa dell'avvocato Dacquì che assiste Gaetano Scotto della famiglia di Resuttana

Di Redazione |

Un processo indiziario, collaboratori di giustizia ritenuti inattendibili ed un clamoroso depistaggio che sarebbe stato compiuto da esponenti delle forze dell’ordine e alla vigilia dei 35 anni dal duplice delitto del poliziotto Nino Agostino e della moglie Ida Castellucci sul banco degli imputati ci sono Nino Madonia (già condannato in abbreviato in secondo grado all’ergastolo) e Gaetano Scotto, esponente della famiglia di Resuttana il cui processo in ordinario dinnanzi alla Corte d’assise di Palermo presieduta da Gaetano Gulotta.

Dopo la morte di papà Vincenzo

Alla prima udienza senza la presenza di Vincenzo Agostino, il padre eroe che per anni ha combattuto per ottenere la verità sul delitto del figlio, della nuora e del bimbo che portava in grembo, il legale di Scotto Giuseppe Dacquì è salito sull’“Orient Express”, cioè un processo in corsa che tratta di un duplice delitto. Ed il legale nella sua lunga arringa (la prossima udienza prenderà la parola l’avvocato Giuseppe Scozzola) ha parlato dell’agente Guido Paolilli, un amico di famiglia che avrebbe aiutato Nino Agostino ad entrare alla polizia, avrebbe fatto parte di questo sistema depistatorio tanto da raggiungere Palermo all’indomani del delitto e per quindici giorni frequentare assiduamente casa Agostino. «Un poliziotto Paolilli che viene a Palermo per parlare con Vincenzo Agostino, padre di una vittima di omicidio, perché teme di parlare a telefono», ha detto il legale.  Paolilli ha fatto parte dei servizi segreti, e avrebbe tradito l’amico Agostino. Il suo arrivo a Palermo dopo il delitto, alla luce del suo rapporto amicale con la famiglia della vittima, gli avrebbe permesso di «aprire e rovistare i cassetti e carpire le confidenze che Agostino avrebbe potuto fare ai familiari prima dell’omicidio». Secondo il legale di Scotto durante quei 15 giorni Paolilli era stato chiamato a  «cancellare le tracce che potevano portare ai veri assassini di Nino Agostino e alle ragioni che avrebbero portato a ciò».

Il depistaggio

Per la difesa di Gaetano Scotto, accusato del duplice omicidio di Nino Agostino e della moglie Ida Castellucci avvenuto il 5 agosto del 1989 a Villagrazia di Carini, non ci sono dubbi: le indagini sono state depistate dal dirigente della Squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera e l’impianto accusatorio da parte della procura generale di Palermo sarebbe claudicante perché i racconti dei collaboranti sono lacunosi e sarebbero giunti in ritardo.

Le accuse dei pentiti

La difesa ha parlato di inattendibilità dei testi per un processo indiziario nei confronti di Scotto riconosciuto esponente mafioso della famiglia di Resuttana. Ed ha parlato della deposizione di Giovanni Brusca dinnanzi alla Corte a cui ha spiegato come funzionavano le regole all’interno di cosa nostra e del ruolo di Totò Riina all’interno della cupola ritenuto un solo uomo al comando. «Era una sorta di Putin moderno – ha detto il legale – che decideva tutto lui». Il legale dopo la lunga arringa ha evidenzia che «l’omicidio non è stato opera della mafia ma di poliziotti infedeli», afferma il legale.

Un pensiero poi è stato rivolto a Vincenzo Agostino «Un Dio con la barba bianca in attesa di tagliarla nel momento in cui sarebbe stata trovata la verità sull’omicidio del figlio. Ha sempre cercato i colpevoli, non certo i colpevoli qualunque. Ora che insieme al figlio saprà chi lo ha ucciso». Ed ha aggiunto: «Una cosa sola gli rimprovero: non aver denunciato in quel tempo Guido Paolilli e non averlo preso a calci, se lo avesse fatto qui parleremmo un’altra lingua e sapremmo cosa c’era in quelle cose che Paolilli ha distrutto. Scotto Gaetano non è l’assassino di Nino Agostino e Ida Castelluccio».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA