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Di Maio e la fronda dei “terroni”: ecco chi sono i ribelli del M5s

Di Mario Barresi |

CATANIA –  Sarebbe troppo riduttivo definirli gli “ortodossi” vicini a Roberto Fico. Perché, nel crescente borbottare della pancia dei “portavoce” cinquestelle, c’è molto di più. Una coscienza critica sulle ultime sconfitte, un’idiosincrasia verso le scelte «troppo schiacciate su Salvini», ma anche un orgoglio tutto meridionale. Che va dal rigurgito di bile dopo il via libera al Tap e all’Ilva in Puglia, scendendo giù fino al malessere per le risposte lente sulle «infrastrutture sostenibili e già finanziate» in Sicilia, attraversando tutto il Sud con la paura per «il silenzioso assenso alla secessione dei ricchi nascosta nel regionalismo differenziato che vuole la Lega».

Ed ecco che quella che esploderà oggi alla Camera, nell’assemblea del gruppo M5S, rischia di essere una “fonda dei terroni”. Con molti deputati siciliani ad alimentarla, soprattutto nella rivendicazione di «un chiaro dissenso al modello verticistico del movimento». Luigi Di Maio, per evitare che un innocuo sfogatoio interno possa trasformarsi in un processo alla sua leadership, ha provato a metterci una pezza: «Dobbiamo darci un’organizzazione», ha detto all’indomani della sconfitta alle Regionali in Sardegna, cominciando a sfatare i tabù del doppio mandato e delle alleanze locali con liste civiche.

Ma è anche su questo restyling del movimento che si concentrano le proteste. «No al super mega direttorio, non alle riforme calate dall’alto e poi semplicemente ratificate su Rousseau». Una piattaforma, giusto per citare una ribelle ormai dichiarata come la senatrice Paola Nugnes, della quale «va delimitato il ruolo entro confini precisi». Per disinnescare l’ultima «emergenza democratica» si sono mobilitati già molti meetup. Per mettere nero su bianco la rivolta contro la «linea verticistica» in un documento che doveva essere ufficializzato il 10 marzo, ma che con molta probabilità sarà evocato oggi a Montecitorio.

Sotto accusa l’ipotesi di “direttorio”. L’idea di Di Maio è quella di istituire «referenti tematici»: nulla osta per i movimentisti del movimento, se non ci fosse «l’ennesimo rischio di nomine dall’alto». Una delle controproposte che potrebbero emergere già nell’assemblea odierna e è quella di votare i candidati su Rousseau, ma «solo dopo una prima tornata elettorale fra la base vera del movimento». Ancor più feroce la critica dei frondisti sulla scelta del capo politico di introdurre la figura dei coordinatori regionali, che vorrebbe poter nominare (e revocare) lui stesso. «Sarebbero dei colonnelli di Luigi, emissari di un comitato centrale pronto a stroncare qualsiasi dissenso interno e soprattutto locale», è la principale controdeduzione di chi storce il naso a primarie nazionali sul blocco dei 20 mini-Di Maio. «Vanno votati su base regionale, non dev’essere solo una ratifica plebiscitaria di una nomina dall’alto», è la linea nelle chat dei ribelli.

Chi sono i siciliani più insofferenti? Uno fa coming out nell’intervista che pubblichiamo accanto: Santi Cappellani, giovane deputato catanese. Ma, oltre a lui, secondo un retroscena del Mattino ci sarebbero anche Gloria Vizzini (nissena eletta in Toscana) e Giorgio Trizzino, il medico palermitano che descrivono comunque come lealista seppure critico su posizioni troppo schiacciate su Lega e No Vax. Ma qualche altro indizio si può trovare scorrendo la lista dei 18 dissidenti che sfidarono apertamente il patto Di Maio-Salvini sul decreto sicurezza. Fra i quali c’era un’altra catanese: Simona Suriano, una laurea in Giurisprudenze e un master in Politica internazionale, unica grillina che – tenendosi alla giusta distanza dai riflettori mediatici – salì a bordo della Diciotti «per sincerarmi – disse – che la situazione fosse sotto controllo, che i migranti fossero curati e assistiti e non certo per fare passerelle». Fra i siciliani in trincea c’è anche Ugo Forello, consigliere comunale a Palermo, ultimamente avvistato più volte a Roma in intensi caminetti con i Fico-boys.

Twitter: @MarioBarresi

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