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Elezioni, Nello balla da solo (come sempre): seggio soltanto per Musumeci, i “delfini” restano all’asciutto

Nessuno di Diventeràbellissima in lista con FdI. E' così dai tempi di Gianfranco Fini fino a La Russa: «Il rappresentante dei miei sono solo io»

Di Mario Barresi |

Nello balla da solo. Perché così ha sempre fatto, perché è la cosa che gli viene più facile. Più naturale. Fra le righe delle liste di Fratelli d’Italia per Camera e Senato nell’Isola emerge un preciso dato politico: nessun altro esponente di DiventeràBellissima, tranne Nello Musumeci, è fra i candidati. 

Il governatore uscente lo scorso 23 giugno, nella celebre conferenza stampa del «passo di lato, se divisivo», si esprimeva così: «Non svendo la mia terra e il mio popolo per un posto nel Parlamento nazionale. Sono di un'altra pasta. Non accetto compromessi, la Meloni non ha mai proposto un baratto del genere. Lei conosce bene la mia moralità e io conosco bene la sua fermezza».

In due mesi è cambiato tutto: Musumeci candidato al Senato, in un collegio blindato e anche da capolista al proporzionale. Del resto, come ama dire lui stesso, «la politica è l’arte del possibile». Ciò che non è mutato, nei decenni, è invece l’approccio da solista che da sempre lo caratterizza. Un sodale di antico lignaggio lo descrive così: «Nello è un animale da campagna elettorale, un comiziante di livello nazionale, che con la sua oratoria fece innamorare pure Berlusconi, uno che dà il meglio di sé quando è in campo in prima persona».

Il centrodestra, secondo il nostro interlocutore, «ha perso molto non ricandidandolo». Ma la stessa fonte ci avvisa di un risvolto della medaglia: «Quando non è lui candidato in prima persona, non sa trasmettere ai suoi nemmeno un voto». Così fu persino per il figlio Salvo, candidato all’Ars nel 2008 con La Destra a Catania: appena 1.772 voti. Nella stessa tornata, il figlio putativo, Ruggero Razza, in lizza da aspirante governatore incassò  7.291 preferenze, pari all’1,02%. Nel 2000, alle Comunali etnee, da presidente della Provincia ed europarlamentare, Musumeci schierò soltanto Luciano Zuccarello nella lista di An: 724 voti, non eletto. «Fu un caso clamoroso», ricordano nella destra sotto il Vulcano.

Nessuno è perfetto. C’è chi è nato per essere leader e chi invece per fare il portatore d’acqua. E Musumeci, il capo, lo sa fare.  Racconta un suo ex adepto che nel 1994, poco dopo l’elezione a presidente della Provincia  il primo post missino d’Italia, un mese dopo la svolta di Fiuggi, si dovevano fare le liste per le Politiche. «Arrivarono a Catania i tipi di Berlusconi, con tutti i fogli dei sondaggi in mano: ovunque il rapporto dei collegi era due terzi a Forza Italia e un terzo ad An. Ma ci fu  l’inferno: “Voi avete i dati, noi abbiamo i voti”, gli rispondemmo». E così nel Catanese il partito di destra ottenne 5 collegi alla Camera (più uno al Senato) a fronte dei 3 di Forza Italia. Gianfranco Fini, per rispetto del presidente appena eletto a Palazzo Minoriti, chiese a Musumeci chi volesse piazzare dei suoi. «No, grazie. Il mio gruppo è rappresentato solo da me». Fini rivelò quell’episodio qualche anno dopo. Quando i rapporti fra i due s’erano logorati, anche perché Nello aveva “osato” battere il suo segretario  alle Europee del 2004.

Corsi e ricorsi storici. Lungo una carriera politica in cui Musumeci non ha mai voluto accanto chi rischiasse di fargli ombra. «Tu vuoi fare con me come Lumia con Crocetta», vomitò a Raffaele Stancanelli, artefice della sua candidatura di cinque anni fa, prima di metterlo alla porta nel 2019. Eppure lo stesso eurodeputato, l’anno prima, ottenne, nel gemellaggio con Giorgia Meloni allora alla guida di «un partito del 2-3 per cento», quattro posti d’oro alle politiche per DiventeràBellissima: due collegi e due capilista. La marea gialle del M5S vanificò gli sforzi: fu eletto solo Stancanelli.

E si arriva al giorno d’oggi. Con FdI corazzata del centrodestra al 25%. In Sicilia c’è una grande disponibilità di seggi: fra 16 e 17, secondo le proiezioni patriote. Ma solo uno va al movimento del governatore appena “sacrificato” sull’altare dell’unità della coalizione alle Regionali. Quello (doppio) di Musumeci, appunto. Né il delfino Razza, né il vecchio amico Gino Ioppolo, né il fedele e meritevole Enrico Trantino, né nessun altro fra emergenti e ambiziosi. Nonostante il forte potere contrattuale per la rinuncia al bis e l’ingresso di #Db nel partito.

Voci maligne narrano eppure di una buona predisposizione di Ignazio La Russa, gran mazziere delle liste di FdI. E non è inverosimile un dialogo col senso di déjà-vu finiano. Domanda: «Nello, quanti posti vorresti per i tuoi?». Risposta: «Ignazio, il mio movimento è rappresentato solo dal suo leader». Lui stesso medesimo.

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