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Le intercettazioni “arma” utile in tutte le indagini: il “metodo Catania” e i casi-simbolo

Di  Laura Distefano |

Il rischio di scivolare sul bagnato  e fare passi indietro è davvero dietro l’angolo. Al Palazzo di Giustizia di Catania, dove le indagini sui colletti bianchi sono diventati una priorità, l’umore non è dei migliori da quando il ministro Carlo Nordio ha deciso di “riordinare” il sistema delle intercettazioni.  E le polemiche, rinfocolate dalla centralità che hanno avuto le conversazioni captate nella cattura dopo 30 anni di latitanza di Matteo Messina Denaro, non sembrano scalfire la determinazione del ministro della Giustizia.

Ma l’errore  – per salvaguardare (giustamente) la privacy – potrebbe essere quello di sottovalutare il reato di corruzione rispetto a quello dell’associazione mafiosa, non comprendendo che la criminalità organizzata oltre a gestire estorsioni e droga, ormai da tempo ha alzato l’asticella e si annida anche nei gangli della burocrazia e della pubblica amministrazione.

Per stanare un corruttore l’ascolto in diretta è (quasi) fondamentale. Ed è per questo che togliere strumenti investigativi significherebbe mettere una battuta d’arresto a un filone investigativo di enorme valenza economica e sociale. Basti pensare che la  corruzione “costa” quanto una manovra econonomica.  

Le microspie a Catania hanno portato a scoperchiare il malaffare in diversi ambiti: appalti, rifiuti, sanità. Nessun settore è rimasto fuori  .  E molte volte le intercettazioni sono state autorizzate per mafia. Così  ascoltando i boss si sono scoperte tangenti, concussioni, corruzioni elettorali, gare d’appalto pilotate.

Gli esempi sono tanti e innumerevoli. Partiamo dalla maxi inchiesta Dionisio: i Ros piazzarono quasi due decenni fa le microspie addirittura nelle campagne del calatino per poter registrare i summit dei padrini di Cosa nostra. E da quelle captazioni vennero fuori nomi di politici,  imprenditori, burocrati. Dai latifondi di Caltagirone si decisero le sorti di molti affari immobiliari. Alcuni di questi conclusi grazie a qualche manina amica nella stanza dei bottoni, tra varianti urbanistiche e affidamenti cuciti su misura. Da quel filone poi si scoprirono le interferenze anche nel mondo dei centri commerciali della Sicilia Orientale.

Ma non bisogna rimanere indietro nel tempo. Perché in pieno lockdown è scoppiata l’inchiesta Mazzetta Sicula sulla gestione dell’impianto dei rifiuti più grande del mezzogiorno d’Italia. Tutto cominciò per le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, ma poi le intercettazioni svelarono un sistema di gestione illecito del conferimento della munnizza dei Comuni di mezza Sicilia. Per la cronaca il processo è ancora in corso in primo grado.      Una prassi – quell catanese – che potrebbe in qualche modo seguire la linea Nordio.

Ma a Catania ci sono anche esempi di percorsi inversi: come quello ad esempio che indagando su alcune aste giudiziarie poi si trovarono le interferenze mafiose. O come quando partendo dall’indagine di un piccolo appalto in un comune  vennero fuori le infiltrazioni mafiose in diversi municipi. 

E negli ultimi  anni a Catania grazie a nuovi sistemi di captazione – soprattutto i trojan che trasformano i telefonini in potenti registratori – si sono fatte indagini “pure” contro la pubblica amministrazione. Operazioni – come quella “Buche d’Oro” sulle corruzioni per le manutenzioni delle strade affidate all’Anas –  che hanno riportato le lancette dell’orologio ai tempi di ‘mani pulite”. Una vera tangentopoli in salsa sicula con funzionari senza scrupoli che pur di  intascare pesanti  bustarelle avrebbero messo in pericolo l’incolumità di tanti automobilisti che avrebbero percorso strade dove i lavori non erano stati eseguiti a regola d’arte, perché si doveva risparmiare per poter avere i soldi necessari per pagare le mazzette.

E così con il blitz Genius al genio civile di Catania, dove imprenditori e dipendenti pubblici avrebbero preso accordi dietro la promesso di compensi “fuori gara”. E in questo cerchio sono finiti anche gli appalti della sanità, con gare  pilotate (Urologia al Policlinico),  concorsi truccati in modo indegno  (nefrologia dell’Asp), tangenti a dirigenti medici  (caso primario di cardiochirurgia al Policlinico).  Le intercettazioni sono il “cuore” dell’inchiesta della Digos “Università Bandita”.  Sono questo  tipo di inchieste che rischiano di scomparire dalle procure. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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