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verso le regionale del 2022

Musumeci e la ricandidatura che torna “sottotraccia” per respingere i predoni

Il presidente della Regione, che non ha nascosto la sua volontà di riproporsi agli elettori, ha modificato la sua strategia: basta scontro frontale. E nel frattempo lavoro ai fianchi i leader nazionali

Di Mario Barresi |

La natura ci regala numerosi esempi: soprattutto negli insetti; ma anche fra anfibi, rettili, uccelli e mammiferi. Che si fingono morti per difendersi dai nemici. Meraviglioso il caso dell’opossum della Virginia: sdraiato a terra e con le zampe in alto, è capace di entrare in uno stato comatoso autoindotto per confondere i predatori, cogliendoli di sorpresa. Si chiama tanatosi.

Ma, senza scomodare l’etologia, sulla nuova strategia di Nello Musumeci basterebbe un detto popolare, nobilitato dai versi di Franco Battiato: Càlati juncu ca passa la china.

E così, proprio quando i più perfidi fra gli alleati stanno escogitando l’espediente per affossare il mandato-bis, ecco che Musumeci lo mummifica in argomento tabù. Lui, «già in modalità in campagna elettorale» per i suoi, che aborre ogni discorso sulla ricandidatura. «Imporla sarebbe un atto di presunzione», dice in tv dopo averne discusso in mattinata con Matteo Salvini, al culmine di un triangolare tango della gelosia con Giorgia Meloni. Il governatore, ospite a Oggi è un altro giorno su RaiUno, sposta l’asticella del 2022. Il tema della ricandidatura? «Si porrà il prossimo anno»; anzi dopo, «alla prossima estate». E perché no a ottobre, alla scadenza della presentazione delle liste?

È la nuova strategia del Pizzo Magico. Raffinata a tal punto che qualche malizioso big di centrodestra sospetta che ci sia, per interposto Ruggero Razza, lo zampino di Raffaele Lombardo, affettuoso (seppur a distanza) come non mai nei confronti dell’inquilino di Palazzo d’Orléans. E in effetti c’è una logica ben precisa dietro all’apparente arrendevolezza di un governatore che fino a qualche tempo fa scalpitava nel pretendere (con tanto di documento prestampato da firmare) che fossero gli alleati a incoronarlo di nuovo. Musumeci ha capito che è un errore forzare sulla coalizione. Ma ha compreso soprattutto che più tempo passa e più aumenta il suo rating elettorale per l’impossibilità, pure per i più incalliti frondisti, di costruire un nome alternativo in pochi mesi. Persino se fosse il più prestigioso e temibile: Gaetano Miccichè, il “Draghi di Sicilia” negli alambicchi romani, incidentalmente fratello di Gianfranco, viceré di Forza Italia, che riunisce per tre giorni a Mazara il partito. Una potenziale Disneyland dei No-Nello, con un confronto fra il governatore e i leader regionali fissato per domani. Giorno in cui nell’agenda di Palazzo d’Orléans ci sono ben altri impegni.

«La mia ricandidatura? Dipende dalla coalizione», sussurra docile Musumeci negli studi Rai di Roma. Proprio mentre a Catania fervono i preparativi per la kermesse del 20 novembre alle Ciminiere, «l’apertura della campagna elettorale» secondo la definizione di autorevoli esponenti di DiventeràBellissima, fieri del nuovo simbolo in cui campeggia la scritta “Musumeci presidente” già pronta per finire nella scheda elettorale. Il salto di qualità nei rapporti con i media nazionali, l’infinita brochure sui primi quattro anni di governo, il prezzemolismo scientifico a sagre e feste patronali in ogni più sperduto paesino, l’atteggiamento «disteso, quasi affettuoso» anche con gli assessori che era solito cazziare in giunta. Tutto torna, nella tattica della narcosi politica: sopravvivere per vincere. Con una scadenza fissata da Razza: «Resistiamo fino a febbraio. E poi è fatta, Nello sarà ricandidato e ovviamente rieletto». Se qualcosa dovesse andare storto in questi pochi mesi, c’è già un piano B da evocare al momento giusto: la minaccia di dimissioni, per correre, «anche da solo», a elezioni anticipate.

E anche nel rapporto con i leader nazionali è lo stesso. «Quando si tratta di difendere gli interessi della mia terra parlo con chiunque», scandisce Musumeci annunciando non meglio identificati incontri con «alcuni rappresentanti di Forza Italia». In serata comparirà, affabile e sorridente, in un post di Licia Ronzulli, sacerdotessa di Arcore, che svela il tema ufficiale del summit: l’«obesità infantile e minorile». Disincanto e profilo istituzionale nei comunicati stampa, ottimismo e spregiudicatezza nei colloqui privati. Così è stato nell’offerta alla mai amata Meloni (che potrebbe incontrare venerdì prossimo a Palermo, il giorno prima della convention etnea di #Db), un patto dal quale la leader di FdI è tentata. «Se ne parla l’anno prossimo», la melina meloniana.

Alla quale il governatore risponde provando a farla ingelosire. Così nasce l’incontro di ieri mattina con Salvini. Preparato, lunedì scorso al PalaRegione di Catania, da un faccia a faccia con Nino Minardo. Il segretario regionale della Lega è passato in poco tempo da avversario per il 2022 (e miccia di un ultimatum da «dentro o fuori» alla Lega) ad alleato fra i più affidabili. Una mutazione scandita a colpi di «Ninuzzo» e «Nellu’», con un nemico comune: Luca Sammartino. È all’ex renziano che Minardo risponde, nel codice celodurista dei maschi alfa salviniani, portando a Palazzo Madama il governatore della fatwa sui «ben altri palazzi».

Ufficialmente per chiedere ai ministri del Carroccio di «sostenere convintamente, all’interno del governo, le istanze della Regione», fra cui il sito Intel nell’Etna Valley e una scuola d’alta formazione alberghiera. Ma dal Pnrr alle Regionali è un attimo. E, nonostante la doppia smentita di Musumeci in tv («Non abbiamo parlato di questo. Mi ha chiesto: cosa vuoi fare per i prossimi cinque anni? In questo momento solo lavorare per non lasciare nulla di sospeso») e di Minardo con La Sicilia («Nessun tema politico, l’incontro è servito a sciogliere il ghiaccio fra i due»), il discorso c’è stato.

E l’opossum di Militello l’ha tirato fuori con magistrale oratoria. Facendolo cadere sul sostegno alla ricandidatura, ma anche sull’ipotesi di riprendere il filo della federazione offerta dal Capitano e poi prescritta per l’indolenza musumeciana. Se ne riparla, di tutto, dopo la lotteria del Qurinale

Ora il governatore ricandidato che non parla di ricandidatura si sente più forte. Conteso nel derby sovranista Matteo-Giorgia, rassicurato dai fondi per la comunicazione, convinto dalle sue indubbie doti di animale da campagna elettorale, soprattutto confortato dall’assenza di rivali. E sempre certo di «aver attraversato la palude scansando gli schizzi di fango». Fino al punto di porre a Salvini una questione morale sugli ultimi acquisti leghisti: «Ma tu lo sai chi ti sei messo dentro?». No, non è tanatosi. Nemesi, è.

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