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Nel “Black Friday” di Musumeci oltre al fioretto c’è pure il bazooka

Di Mario Barresi |

Sugli schiaffi della Corte dei conti continua a ripetere ai suoi che «ci riguardano soltanto per 31 giorni, dal primo al 31 dicembre». E che nelle parole del presidente Maurizio Graffeo, molto più che fra le righe, ha colto «un giudizio positivo sul cambio di rotta già dimostrato dal nostro governo nel Def». Eppure, nel Black Friday di Nello Musumeci, c’è molto più che la consapevolezza di camminare in un campo minato. L’invito della Corte dei conti a una «manovra correttiva» – nell’austera sala di Villa Whitaker, seduto in prima fila ad appena due posti di distanza dal ghigno gongolante del grillino Giancarlo Cancelleri – è stato solo il primo dispiacere della giornata. L’altro, in contemporanea, arriva (seppur anticipato da “gufi” ben informati) dal Palazzo della Consulta: “asfaltata” la riforma delle ex Province, addio all’elezione diretta a cui il governatore era tanto legato per «ridare la parola ai cittadini in un’epoca di antipolitica».

Si ricomincia. Subito. Col fioretto, rispetto ai conti. «Una situazione ereditata. Il vantaggio per noi consiste nel fare buon uso delle criticità perché si possa correggere nel più breve tempo». Come? Partendo dalle aziende partecipate. «La Regione non può più essere il bancomat al quale finora hanno attinto tutte le società deficitarie, improduttive, incapaci di produrre sviluppo». Ma anche una stretta ancor più rigida sui Dipartimenti, già destinatari della richiesta di una “lista della spesa” sui fondi europei (altra nota dolente sollevata dai magistrati contabili), per capire se ci sono «incrostazioni da rimuovere». Cosa cambia dopo il giudizio della Corte dei conti? «Per noi nulla, perché dev’essere – ha detto ai suoi – uno sprone per fare prima e meglio ciò che volevamo fare».

Ma sulla questione delle Province ecco che Musumeci tira fuori il bazooka. O la ruspa, visto il recente feeling con Matteo Salvini. «La sentenza della Corte costituzionale, al di là del marginale aspetto delle Province, suona ad offesa della dignità del popolo siciliano e della sua plurisecolare vocazione autonomistica», dice il governatore in un video su Facebook in serata. Un «colpo di spugna», sull’articolo 15 dello Statuto che riserva alla Regione la materia di organizzazione e controllo degli enti locali, dietro cui c’è «il malcelato e progressivo tentativo romano di smantellare l’istituto autonomistico». E dunque, con una «sentenza assai discutibile» i siciliani sono «espropriati del diritto sacrosanto di scegliere chi dovrà governare le ex Province, peraltro già da cinque anni condannate alla paralisi, con l’evidente stato di abbandono di viabilità, edilizia scolastica e servizi essenziali».

E torna il concetto del campo minato. Che chi governa ha il dovere di bonificare. Come? «Faremo una legge sulle Province. Si voterà a novembre con questo sistema assurdo – rivela Musumeci – ma nessuno può privarci del diritto di attribuire comunque più poteri agli enti intermedi». E neanche sui rifiuti si torna indietro: «Restano gli ambiti provinciali», taglia corto.Ma non finisce qui. Ora Musumeci indossa l’elmetto sicilianista. «A questo punto noi siciliani siamo chiamati a prendere una decisione non più rinviabile: o rinunciamo definitivamente alla nostra Autonomia, accettando il cinismo dello Stato accentratore, o ricorriamo alla magistratura sovranazionale nell’ultimo tentativo di difendere la nostra identità». Un euro-ricorso? Il sentiero è stretto, ma il governatore ha chiesto a Gianfranco Miccichè una seduta all’Ars per «condividere la scelta con tutti i deputati». L’altra strada – una provocazione, fors’anche una suggestione – è rivolgersi ai siciliani. Per porre loro, magari alle urne, il domandone finale: ma questo Statuto speciale lo volete davvero?COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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