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IL RETROSCENA

Regione, Forza Italia si spacca e si riaffaccia la crisi. Miccichè: «Mi candido io»

In gioco c’è l’appoggio al bis di Musumeci. II capogruppo Calderone: «Non sarà un rogito con notai romani...». Ma otto fra deputati e assessori: «Alt a personalismi e risentimenti»

Di Mario Barresi |

«Basta, mi sono davvero rotto i coglioni. Il “babbìo” è finito, ora cominciamo a fare sul serio». Gianfranco Miccichè è furioso. Sul display del telefonino è appena comparso il comunicato firmato da otto fra deputati e assessori regionali del suo partito, in pratica metà del contingente azzurro alla Regione. «Stop a personalismi e risentimenti, prima viene il buongoverno dell’Isola». Il che, tradotto dal politichese, significa una mozione di sfiducia al viceré berlusconiano di Sicilia . E un alt clamoroso alla guerra aperta a Nello Musumeci. «Non possiamo più stare in silenzio, è arrivato il momento di capire quale linea vuole assumere il partito», ammette in serata Marco Falcone, risoluto più che mai.

Lo strappo si manifesta, in tutta la sua platealità, nella seduta di ieri all’Ars. Ed è il capogruppo Tommaso Calderone, fedelissimo di Miccichè, a rivestire con raffinata sagacia un ruolo decisivo. Interviene soltanto lui a nome di Forza Italia e il presidente dell’Ars fa in modo di dargli la parola per ultimo. Il deputato-avvocato messinese sfrutta l’assist nel migliore dei modi. E, dopo gli attacchi (velenosi e legittimi quanto scontati e, tutto sommato, innocui) dell’opposizione giallorossa, sferra il colpo più duro al governatore. Sul nervo scoperto: la ricandidatura. Calderone cita il «patto di lealtà firmato nel 2017» e poi precisa, gelido, che «quel patto non prevedeva un rinnovo né tacito né espresso: questo lo discuteranno i partiti al momento opportuno». Con un chiaro avvertimento: «Certamente, in questo rogito, non ci faremo condizionare da notai romani». Come dire: se il governatore uscente pensa di farsi imporre da Giorgia Meloni si sbaglia di grosso. Gran finale con un adagio dialettale: «’U paisi è do paisanu».

Il diretto interessato diventa paonazzo. Mentre il capogruppo sta ancora parlando, l’assessore Falcone si avvicina a Musumeci. E gli sussurra: «Nello, tu non rispondergli. Ci pensiamo noi». Ma la vis retorica del governatore è irrefrenabile. «Sulla lealtà di Forza Italia, e di altri partiti, non ho mai avanzato dubbi. Non ho voluto che ci fosse gente dietro la mia porta», replica provocando Calderone: «Onorevole, perché s’innervosisce?». Il presidente della Regione non cade nella trappola di parlare in aula del suo bis, ma gli scappa un passaggio quasi freudiano: «Io inadeguato? Inadatto? Lo vedremo dopo e lo diranno i siciliani…».

Messaggio in codice: io mi ricandido, con o senza il consenso di Miccichè. Il quale, in un remake dei siparietti risalenti a quando occupava lo scranno più alto di Sala d’Ercole con Totò Cuffaro governatore, si riserva il diritto finale di controreplica per l’attacco conclusivo al nemico col pizzetto, accusato di «comportamenti iniqui nei confronti dei parlamentari». Non lo ascolta neppure, l’assessore Gaetano Armao, che – quando il leader regionale del suo partito comincia la reprimenda – si alza platealmente e lascia l’aula. «Indignazione istituzionale», la spiegazione alle persone più vicine, che condividono con lui un crescente fastidio per «come Gianfranco fa scempio dello Statuto che vorrebbe il presidente dell’Ars figura istituzionale super partes e non un alchimista della politica fra trame e inciuci».

Era già tutto previsto. Se non addirittura preparato. L’attacco di Calderone fa il paio con quello dell’autonomista Roberto Di Mauro, altro dispenser di bile musumeciana: «Le sue posizioni non sono comprensibili, io più volte l’ho richiamata sui rapporti tra governo e partiti, ma lei ha considerato questi interventi come un insulto. Sono preoccupato».

Una strategia di accerchiamento del ColonNello (vedasi pranzo etneo a casa di Raffaele Stancanelli, con Miccichè a brindare con Raffaele Lombardo), ma anche un modo per rispondere ad alcune «scemenze senza fondamento» che i ribelli forzisti diffondono in mattinata su Miccichè, ovvero che «sta chiudendo l’accordo trasversale per candidare Massimo Russo o la Chinnici». Così com’era già pronto (e poi limato giusto in un paio di passaggi in una riunione-lampo dopo la seduta) il comunicato di sfida al commissario regionale, con Falcone e Armao coautori assieme a un Riccardo Savona, sempre più interessato alla sopravvivenza del governo Musumeci. E alcuni deputati pronti a riaprire un altro fronte: il no all’ingresso dei renziani Edy Tamajo e Nicola D’Agostino in Forza Italia. «Gianfranco accusa Musumeci di non parlare con i partiti, ma lui ha parlato dentro il nostro prima di queste scelte?». 

Se non ancora una faida aperta, di certo una resa dei conti. Che potrebbe materializzarsi già oggi, nella riunione del gruppo (aperta agli assessori) che Miccichè ha convocato per le 15. «Hanno ragione i miei colleghi. Queste polemiche non servono più, ormai le posizioni sono chiare ed è arrivato il momento di prendere decisioni condivise con i nostri alleati», la sibillina nota diffusa in serata. Chi lo sente, sul tardi,  apprende che le scelte sarebbero dirompenti. La prima è annunciare che Musumeci «non è più ufficialmente ricandidato dal centrodestra siciliano». E così si darebbe subito il via – come in una figura di nuoto sincronizzato – alle successive uscite di Mpa e Lega, pronti a schierarsi con Miccichè, superando la felpata ipocrisia di ieri all’Ars. Gli azzurri lealisti pregustano però ben altro scenario. «Non è detto che il partito nazionale copra all’infinito Gianfranco: Musumeci, in assenza di alternative all’altezza, resta il candidato più competitivo della coalizione. E se, dopo la Meloni, anche Berlusconi fa pendere la bilancia su di lui, la partita è chiusa».

Ma non hanno fatto i conti con la seconda delle «decisioni» evocate da Miccichè. Che sta meditando, seppur frenato dalle telefonate notturne di qualche alleato più guardingo, il colpo di scena finale. «Mi candido io in prima persona», vorrebbe dire ai suoi nella riunione convocata oggi. Già sabotata da buona parte degli otto ribelli: «Se la può cantare e suonare da solo. Noi non ci presentiamo, se ne riparla la prossima settimana». Quando, però, i No-Nello avranno magari già assestato la zampata decisiva contro un presidente che, continuano a ripetere ossessivamente, «non esiste più».

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