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Renato Schifani: «Sulla lotta alla mafia non prendo lezioni da nessuno»

Incontro a “La Sicilia”. Il candidato di centrodestra a Provenzano: «Fondi Ue, se sa vada in Procura». «Dialogo con i partiti, sì ai vertici di maggioranza». Un solo mandato? «Non posso dirlo, si vedrà»

Di Redazione |

È reduce da un pranzo catanese alla Trattoria del Cavaliere, la stessa del “patto dell’arancino” fra i leader nazionali del centrodestra. Ma stavolta, con i big locali della coalizione, Renato Schifani ha siglato, più prosaicamente, «il patto dell’affetto dei catanesi». Il candidato palermitano alla presidenza della Regione, nel corso di un’intensa giornata di incontri sotto il Vulcano, arriva nel pomeriggio nella redazione di La Sicilia per un forum. Ad accoglierlo, con l’editore Domenico Ciancio, il direttore Antonello Piraneo insieme con l’inviato Mario Barresi e il caporedattore Leonardo Lodato per un confronto sui temi della campagna elettorale, sulla visione che si ha della Sicilia. Un format che verrà ripetuto con gli altri aspiranti governatori che accetteranno il nostro invito.

Due i punti di partenza a tre settimane dal voto. Primo: «I tanti problemi di questa terra, che percepivo da cittadino, ma che questo giro elettorale sta confermando da vicino e a cui bisognerà mettere mano già nei primi cento giorni di governo». Secondo: «L’entusiasmo, che supera la rassegnazione. E la speranza che una persona come il sottoscritto, che ha ricoperto ruoli di Stato e che ha una sua autorevolezza a livello centrale, possa avere a Roma un livello d’interlocuzione quasi paritario».

A Catania Schifani ha incontrato i rappresentanti di Confartigianato che gli ha posto «il tema del trasporto merci» e di Confindustria, ai quali, come già fatto a Palermo, ha promesso un intervento immediato sulla commissione tecnico scientifica dell’assessorato all’Ambiente che decide sulle autorizzazioni Via-Vas. Aurelio Angelini alla Cts? «Come l’Avis a Dracula: quando ho sentito di questa nomina sono rimasto basito per l’approccio allo sviluppo sostenibile riduttivo», è il giudizio sul professore designato da Nello Musumeci. «Se sarò eletto – aggiunge – voglio capire di più su questo organismo. Se creiamo organismi pletorici che allungano il procedimento amministrativo invece che di semplificare per diluire le responsabilità così non funziona». E sui ritardi nei pagamenti alle imprese: «La motivazione è tutta interna alla burocrazia. Se dovessi diventare presidente della Regione avvierò non una verifica, ma un’indagine. Non cercherò di amministrare ma di governare». Facendo anche delle «scelte precise» sui vertici dell’amministrazione regionale per i quali Schifani anticipa che non accetterà «solo le segnalazione dei partiti», ma punta a far prevalere il merito: «Bisogna depoliticizzare della burocrazia», principio su cui ha già «trovato il consenso degli alleati».

E qui si apre il tema del confronto con gli alleati della coalizione, un tema caldo se si pensa alle accuse rivolte al non ricandidato Nello Musumeci: «Non sono l’uomo del compromesso. Sono l’uomo del dialogo, dentro la maggioranza e anche all’esterno», scandisce l’ex presidente del Senato. Precisando: «Fino a questo momento nessuna forza politica mi ha formulato richieste di assessorati». Per il toto-assessori, che comunque s’è già aperto sotto traccia, c’è tempo. Gianfranco Miccichè che rivendica la Salute, i confindustriali che chiedono la conferma di Falcone ai Trasporti? «Per ora siamo tutti impegnati in campagna elettorale», taglia corto. 

Ma il tema del giorno l’ha dato Peppe Provenzano. Il vicesegretario del Pd, in un’intervista al nostro giornale, ha lanciato l’allarme mafia sui fondi europei in arrivo in Sicilia. «Non sono abituato a fare polemiche, ma quando si adombrano tali pericoli, accompagnandoli all’ipotesi di un governo di centrodestra, perché è evidente che sanno di essere in grave svantaggio, è soltanto la solita la tecnica del mascariamento» che «mi ricorda quello di Luca Orlando quando diceva che il sospetto è l’anticamera della verità». Schifani lancia la sfida all’ex ministro del Sud, «di cui i siciliani non ricordano alcunché in quel ruolo». E cioè: «Se sa qualcosa vada in Procura a denunciare. Se io avessi degli elementi farei così». A proposti di palazzi di giustizia: nessun timore di bloccare la macchina regionale in caso di condanna nel processo sul sistema Montante in cui è imputato a Caltanissetta per concorso esterno in associazione a delinquere, favoreggiamento e rivelazione di notizie riservate. «L’ho già detto più volte: ho scelto il rito immediato e non ho chiesto la sospensione per legittimo impedimento. Sono coinvolto per un episodio marginale, che non c’entra nulla con il precedente di Cuffaro evocato scorrettamente dal Pd. Ho già chiarito tutto e sono certo di essere assolto: quindi il problema non si pone, altrimenti non avrei mai accettato questa candidatura».

Dalla difesa all’attacco. Sul tema della lotta alla mafia «non devo prendere lezioni da nessuno», precisa Schifani. Ricordando di essere stato protagonista, «assieme al presidente Berlusconi» , di «due leggi che sinistra, per tanti anni al governo, non ha mai approvato». Il riferimento è alla «stabilizzazione del carcere duro nel 2002», che è «uno dei temi del “papello” di Riina». Da capogruppo di Forza Italia ha dato il via libera, così come nel 2008, da presidente del Senato, quando gli arriva sul tavolo il cosiddetto “pacchetto sicurezza” Maroni-Alfano con una serie di norme antimafia. E Schifani rivendica, dopo «una segnalazione molto significativa da parte di una Procura che mi paventava una forte preoccupazione», di avere dato un contributo decisivo. Quello sul cosiddetto sequestro e la confisca anche dei beni leciti. «Affronto il tema sul profilo dell’ortodossia costituzionale. E mi consultai con l’allora procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, che mi rassicurò su questi profili. Andammo avanti: scrivendo la norma, presentata nel disegno di legge sul pacchetto sicurezza, relatore Carlo Vizzini, dopo che io ebbi l’avallo del presidente della Repubblica sull’iter». Oggi, rivendica Schifani, «tutto ciò si chiama sequestro per equivalente: una legge che ha permesso di sottrarre beni per centinaia di miliardi ai mafiosi, colpiti al cuore». Mafiosi, ricorda sottovoce l’aspirante governator, che «di certo non mi vogliono bene». E, ancor più sommessamente, fa notare che «al di là della mia candidatura, se giro sotto scorta con un’auto blindata ciò non è dovuto allo status di ex presidente del Senato, ma perché evidentemente ci sono dei motivi di sicurezza che non ho mai ostentato. Non me ne faccio un vanto, ma è la mia storia: l’onorevole Provenzano e il Pd s’informino prima di polemizzare con me su questo tema».

E quindi Schifani sostiene che vuole «misurarsi sui temi e non sulle polemiche». Ma allora perché ha rifiutato – così come rivelato dal nostro giornale rispetto alla sua strategia, la stessa di Caterina Chinnici – ai confronti pubblici fra tutti i candidati? «È complicato allineare tutte le agende elettorali, ma il problema non è questo, anche se giornalisticamente posso capire che sarebbe interessante. Non sfuggo a nessun confronto se tutti sono d’accordo. Ma nemmeno a livello nazionale ce ne sono stati. Non cambia il consenso, non cambiano i contenuti. Preferisco stare mezza giornata in più in giro tra la gente che fare confronti fra chi ha temi e toni diversi».

Ma non cita Cateno De Luca, soltanto una carezzevole stoccata a Chinnici, «persona che stimo», pur essendo esponente del Pd che ha delle posizioni molto diverse su temi cruciali». Due su tutti. Il Ponte, su cui dice «prima facciamo il resto e poi ci pensiamo». E i termovalorizzatori, sui quali «prende sostiene che prima bisogna potenziare la differenziata e poi si deciderà». Su entrambi i temi Schifani è chiaro: «Sì al Ponte subito, perché fra l’altro c’è un progetto cantierabile che tutti i leader del centrodestra hanno detto di voler far ripartire». E poi «subito i termovalorizzatori, per risolvere l’eterna emergenza rifiuti, ma anche per rispondere alla crisi energetica».

Precisa di non essersi «mai autocandidato», il senatore Schifani. E anzi, rivela, nel ponte di Ferragosto sua moglie aveva il desiderio di «tornare a Marettimo, un’isola a cui siamo molto legati, per qualche giorno». Ma le ferie 2022 di Schifani sono saltate. E ora è più che mai in campo: agricoltura, con la «tutela delle filiere dalla concorrenza sleale dei Paesi stranieri», portualità con il «potenziamento dell’offerta del segmento dei ricchi», turismo («Non basta che i Vip festeggino il compleanno in Sicilia, bisogna farla diventare attraente anche dal punto di vista cinematografica: non il “modello Agrodolce” con la Regione che produce, ma con delle facilitazioni per chi vuole fare un set»), rafforzamento delle Province, con «una legge da fare subito sperando che il governo nazionale non la impugni».

Schifani riconosce a Musumeci che «non ha operato male, al netto di qualche scelta che può essere stata giusta o sbagliata, avendo il grande merito di aver fatto dimenticare il disastro di Rosario Crocetta». Magari «non ha saputo comunicare bene, per sua stessa ammissione, tutto quello che ha fatto dovendo affrontare un periodo particolare come quello della pandemia». Discontinuità nella continuità, dunque. Con la stessa esigenza di doversi difendere dal «fuoco amico, che non danneggia il presidente ma i siciliani». Ma qualcosa cambierà. «Parlerò con i partiti, li ascolterò, li stresserò in senso positivo». Con Schifani a Palazzo d’Orléans «si faranno i vertici di maggioranza, non c’è niente di male: Prodi ne faceva una a settimana». Un nuovo approccio, «perché io nasco in Parlamento e la mia vita è stata vissuta tutta lì: sarò presente in aula quando necessario e incontrerò i capigruppo anche fuori dalla conferenza istituzionale».

L’altra sostanziale differenza dal predecessore è che il settantaduenne Schifani non si mette addosso un timer: «Non posso dire oggi che faccio un mandato e poi lascio. Se vinco, comincio a governare, con tutta la mia coalizione. E poi si vedrà…». 

(Pubblicato su La Sicilia il 5 settembre)COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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