Sicilians
Un designer etneo eco ed impegnato
Catania, Los Angeles, Barcellona: il mondo palcoscenico di un design “impegnato”, non attento solo all’estetica talvolta futile e modaiola, ma al sociale e alla sostenibilità ambientale dell’oggetto. È su questi fronti che si scommette il 24enne catanese Matteo Guarnaccia, che sta avviando un progetto di ricerca sulle sedie che, partendo dai diversi modi di sedersi nelle varie parti del mondo, diventa spunto per uno studio socio-antropologico.
Fino a 16 anni, il giovanissimo creativo catanese ha vissuto a Catania, studiando al liceo scientifico Galilei: «Tramite uno scambio interculturale, ho frequentato – racconta – il quarto anno negli Usa, a Los Angeles, dove mi sono graduato (negli Usa il liceo dura 4 anni) e poi sono tornato a Catania per il quinto anno. Diplomatomi, mi sono spostato a Barcellona, dove ho studiato design del prodotto allo Ied (Istituto europeo di design), dove mi sono laureato un anno e mezzo fa». Già durante gli studi, Matteo Guarnaccia ha avuto tuttavia modo di dimostrare la sua creatività, vincendo in particolare un paio di concorsi internazionali in design: «Ultimamente – spiega infatti – l’impresa in genere non cerca più un designer, ma lancia un bando aperto su internet, in modo da ricevere molte più opzioni a un costo più contenuto. Ho in particolare partecipato a un concorso che era una collaborazione tra Swab e una fiera di arte contemporanea per la Volswagen e ho vinto con altri 5 creativi: ognuno di noi ha illustrato con le proprie grafiche 6 Maggiolini che, dopo essere stati presentati alla fiera dell’arte, ora fanno parte della collezione del “Centre de Cultura Contemporània de Barcelona” (Cccb)».
Altro concorso vinto, sempre durante i primi anni di università, è stato quello per il 40esimo anniversario della Bic: «Sono arrivato tra i 10 finalisti, su 23 mila partecipanti. Chiedevano proposte di design per una collezione di accendini, la mia grafica è piaciuta e li hanno prodotti. Li uso tuttora come biglietto da visita». Da un altro concorso – non vinto – in Francia, tuttavia, esce fuori lo spirito di Matteo Guarnaccia: «Ho fatto uno studio concettuale che era una critica sulla vita degli oggetti, dimostrando come, con un materiale completamente naturale al posto di altri moderni come la plastica che dura 2.500 anni ma che usiamo solo per una o due stagioni, potremmo avere un controllo sulla vita dell’oggetto». Troppo anticonsumistico, probabilmente, per vincere.
Un impegno, quello di Matteo Guarnaccia, che non si limita alla sostenibilità dell’oggetto, ma che è attento al sociale: lo si evince dalla vittoria del progetto sviluppato per Medici senza Frontiere nella sua tesi di laurea, progetto che non è stato però poi realizzato. «Riguarda il trasporto di pazienti in Congo, dove non ci sono strade percorribili se non in moto, piove 10 mesi l’anno e quindi ci sono gravi difficoltà a trasportare i pazienti dai villaggi remoti ai centri di assistenza. Ho proposto a Medici senza Frontiere un kit per assemblare un pezzo di alluminio, gomme di bicicletta bucate (elastiche e facilmente reperibili in zona) e il bambù, che in quella zona cresce quasi un metro al giorno ed è leggero e resistente, per creare una barella trasportabile facilmente in moto».
Subito dopo la laurea, Matteo Guarnaccia ha trovato lavoro sempre a Barcellona all’Istituto avanzato di architettura catalana (Iaac) come assistente professore in digital fabrication. Un lavoro durato poco (fino al 30 settembre scorso), però, perché il giovane creativo catanese si è dimesso per inseguire «la parte più creativa di ricerca personale e di espressione mia con vari progetti. Il che mi ha portato al progetto a cui sto lavorando da un anno, “Cross-cultural chaise”, cioè una ricerca sulle differenze socio-culturali analizzate attraverso le sedie». Matteo Guarnaccia (sito www.matte-yo.com) farà un giro negli 8 Paesi più popolati al mondo (Brasile, Messico, Giappone, Cina, Indonesia, India, Russia, Nigeria), stando un mese in ogni Paese e producendo «con studi di design locale in ognuno dei Paesi una sedia che rappresenta il Paese». Il tutto sarà coronato da un’esposizione finale al Museo del design di Barcellona, dalla presentazione al Fuori Salone di Milano e negli studi di ricerca di Ikea e da un libro.
«Lancerò questo progetto a settembre all’Arts Santa Monica, museo di Barcellona, ma vorrei lanciarlo anche a Catania». Il progetto dura un anno, economicamente si regge su sponsor tra cui il Museo del design, lo Ied di Barcellona, forse la Canon e sul crowdfunding, mentre «Ikea non fa sponsorship però forse riescono a darmi un fondo attraverso il loro studio di ricerca». La finalità «anzitutto è un mio desiderio personale di fare combaciare le mie più grandi passioni che sono il viaggiare e il creare oggetti. È una maniera di entrare nel mondo del design con un progetto che non è “Matteo Guarnaccia propone un’altra sedia, un altro tavolo”, ma uno studio su come le persone si siedono in giro per il mondo. È anche un modo per attirare l’attenzione su questa globalizzazione che la mia generazione sta vivendo al massimo: ascoltiamo la stessa musica, indossiamo le stesse scarpe, mangiamo le stesse cose in giro per il mondo». Però ci si siede in modo diverso…. «Infatti voglio vedere in che modo ci si siede. In questo progetto non voglio analizzare la sedia tradizionale giapponese o quella brasiliana, ma un atto sociale che rappresenta il Paese. Non voglio neanche produrre del contenuto che interessi solo i “malati di sedie” come me, ma proporre aneddoti da tutto il mondo per gente che è sì interessata al design, però magari è più interessata a una curiosità culturale». Una malattia, quella per le sedie, che lo accomuna agli altri designer: «In realtà, nei primi tempi ho considerato la sedia con un po’ di disprezzo perché è un po’ l’icona del design. La sedia però ha anche un sacco di relazioni fisiche, ergonomiche con l’uomo, quindi c’è una connessione tra la cultura e la parte fisica della sedia. Ho pensato che magari può essere interessante studiare come le persone si siedono piuttosto che fare una sedia. Poi effettivamente realizzerò materialmente le sedie, però sarà più un oggetto pretesto per raccontare una storia».
Nel frattempo, sia per mantenersi avendo lasciato l’insegnamento all’università (progettava di pianificare il progetto in 4 mesi, è in ritardo di 8), sia per trovare stimoli, Matteo Guarnaccia si occupa anche di altri progetti da freelance, «tra cui la proposta a un gruppo di ragazzi ugandesi pazzi per lo skateboard (che praticano senza avere nulla, neanche le strade) per dare loro un’identità grafica e poi proporli a sponsor più grandi». Insomma, arte e design ma sempre con una funzionalità sociale e un’idea ambientalista: «Sì, ancora sono troppo giovane per dire quale sarà il mio indirizzo, però tutto quello che faccio non può avere un impatto insostenibile sul mondo». Il che significa utilizzo di materiali naturali «e soprattutto che se devo utilizzare materiali che hanno un impatto, devono essere giustificati perché magari ci sono materiali chimici dalle prestazioni molto alte e quindi necessari in determinate situazioni. Non faccio un bicchiere in fibra di carbonio solo perché mi piace. Per esempio, con questo progetto delle sedie voglio aiutare qualcuno che ne abbia realmente bisogno, quindi ho creato una partnership con una Ong di Amsterdam che collabora con studi di architettura e design in giro per il mondo per risolvere problemi ad esempio nelle scuole o negli ospedali. Una parte dei proventi della vendita del libro andrà in donazione a loro».
Sedie di tutto il mondo, ma partendo dalla natia Sicilia: «A gennaio sono rimasto un mese a Catania e mi sono detto: stai facendo un progetto che ti porterà in giro per il mondo e non sai neanche chi fa le sedie a casa tua. Sono andato allora a cercare artigiani a Catania, li ho seguiti per varie settimane e ho scritto un articolo, che voglio pubblicare a breve, su quella che potrebbe essere una parte del design a Catania».
Perché la Sicilia, per Matteo Guarnaccia, è culturalmente reattiva e ricettiva: «All’Abadir a mio avviso hanno dei corsi di studio sul design molto interessanti e paragonabili a quelli di Barcellona. Poi, ovviamente, è un mondo che è molto relazionato con la parte industriale, che è quella che manca qua. In fondo, però, la creatività non è una produzione massiva, ma può essere espressa anche nel piccolo. Penso ad esempio alla lavorazione della pietra lavica. Quando a 18 anni sono andato a Barcellona, nella mia testa dicevo: “In Sicilia non ci tornerò mai più”. Invece, ora che sono passati 6 anni, più vado avanti più mi convinco che la Sicilia è reattiva».
Ai suoi coetanei in Sicilia, Matteo Guarnaccia anzi guarda persino «con un po’ di invidia, perché comunque a me rimane la mancanza di questa Sicilia con pregi e difetti». Tra i difetti, «sicuramente la parte burocratica, cioè tutto quello che sono fogli, leggi, permessi, deroghe. Ecco, quando devo affrontare questi problemi altrove, sono contento di essere altrove». Di contro, però, il cordone ombelicale con l’Isola non può essere reciso: «Ci sono certe cose che, quando torno, sono contento di vivere. Non è tanto la spiaggia bellissima, che si trova anche altrove, ma è il venditore ambulante, il caffè e così via».
Ai coetanei Matteo Guarnaccia consiglia allora «di seguire la curiosità, andare a vedere cosa c’è fuori per poi tornare a casa e portare quell’internazionalità che manca un po’ in Sicilia, ma che negli ultimi anni va crescendo». Tanto che Guarnaccia non esclude «un ritorno, anche se sicuramente non in pianta stabile. A Barcellona vivo in un ambiente super-internazionale, della generazione Erasmus. Ho amici che vivono tra Milano, Berlino e Barcellona e si spostano anche tre volte al mese: sì, quasi sicuramente avrò uno studio a Catania, in futuro».
Anche se tutto questo porta insito il rischio di una globalizzazione anche dell’arte: «Bruno Munari, famoso designer italiano degli anni ’70, sostiene che il processo della fantasia e della creatività deriva da associazioni di esperienze, quindi uno più esperienze riesce a vivere, più associazioni riesce a fare e più è creativo è. Se queste esperienze e queste associazioni arrivano dagli stessi input (le stesse canzoni, gli stessi film, le stesse mostre) allora magari tra 15 anni la sedia Ikea da 8 euro – perfetta, bella, funzionale – sarà riconosciuta come la sedia iconica per eccellenza, perché è la sedia popolare. L’interesse mio in questo studio sulle sedie è andare a rimarcare il confine culturale che esiste attraverso le sedie e non. Però sì, la direzione è quella di una globalizzazione culturale, artistica e, quindi, di un impoverimento. Per questo bisogna valorizzare la cultura di ogni luogo». Partendo, magari, dalla Sicilia.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA