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LA FESTA

Sant’Agata, la polemica sulle ‘ntuppatedde: «Ma anche la danze è preghiera»

Le donne velate che fanno la loro apparizione il 3 febbraio nel primo giorno della festa replicano all'arcivescovo mons. Renna che ha criticato queste figure femminili

Di Redazione |

Questa edizione della festa di Sant’Agata sarà forse ricordata anche per i richiami all’ordine e alla religiosità dell’Arcivescovo di Catania mons. Luigi Renna che ha redarguito i devoti che indossa magliette con il volto delle persone defunte («per noi cristiani il suffragio per chi è morto si fa con una Messa, con la preghiera, con un’opera di carità, con la visita orante ai nostri cimiteri»), ai portatori delle candelore («non siano strumentalizzate a fini esibizionistici, quindi “no” a comportamenti equivoci e poco rispettosi), ma anche alle n’tuppatedde, figure femminili che, fino alla metà dell’Ottocento, si velavano il viso per non farsi riconoscere e vivevano il loro unico momento di libertà femminile durante la festa nel quale era loro concesso di tutto: scherzare, ballare, irretire, divertirsi e uscire da sole. A metà dell’Ottocento la tradizione smise d’essere seguita. Ma oggi sono ritornate come simbolo della libertà della donna..

Per mons. Luigi Renna «davanti a Sant’Agata non si va danzando con i veli: le ragazze che lo fanno si espongono ad essere oggetto di espressioni di una cultura che le vuole oggetto manipolabile. La devozione vuole che si segua la Santa con il sacco e con la corona del Rosario in mano, non certo danzando».

Anche nell’omelia della Messa per l’Aurora, mons. Renna ha criticato questa usanza che forse è più carnevalesca che agatina. Adesso però arriva la risposta di Elena Rosa, portavoce delle ‘ntuppatedde. «La nostra apparizione, la mattina del 3 febbraio, rivendica la presenza del femminile nella festa, siamo devote alla santa, alla donna e alla libertà. Sant’Agata ricordiamo è morta non di morte naturale ma per mano di uomo. Non abbiamo mai mancato di rispetto alla religiosità della festa e la nostra non è una ‘esibizione individualistica, ma è relazione, comunità e aggregazione gioiosa. Consideriamo la danza una manifestazione del sacro. Perché la danza è preghiera, è comunità, è liberazione».

«Nel 2013 – continua Elena Rosa – siamo ritornate omaggiando le ultime ‘Ntuppatedde apparse nel 1868 quando furono insultate, fischiate e cacciate via in quanto donne che rivendicavano la propria libertà. Il passato persiste nel presente e qui si pone di nuovo una negazione che riguarda sempre la donna, vogliamo ritornare a negarle come nei secoli passati perché adesso danzano con un velo e un fiore in mano?».

«Queste affermazioni – concludono le ‘ntuppatedde – che ci vogliono sradicare ci sembrano provenienti da un oscuro e triste passato di repressioni oltre che anacronistiche in questo momento storico, e ciò non fa che sottolineare l’importanza e la necessità sociale della nostra presenza»COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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