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Donne di Sicilia, da Franca Viola alla rivolta contro ogni violenza

Di Andrea Lodato |

Ed eccole ancora le donne, in prima fila, a lottare, a morire, ad essere testimoni di una rivoluzione dolce per un mondo che dovrebbe cambiare. Lentamente, certo, ma cambia. Sono passati 50 anni da quel gesto, giudicato eroico allora, compiuto da Franca Viola, che rifiutò le nozze riparatrici con l’uomo che l’aveva stuprata. E fu un gesto di liberazione, per le donne, per la Sicilia, e per gli uomini stessi di questa terra eternamente mortificata dalla sua stessa cultura, dalla rassegnazione, dall’egoismo. Dalla violenza quotidiana.

Oggi sono le donne, ancora, ad alzare la voce, a sviluppare processi di evoluzione, di crescita, di riscatto. Ma, naturalmente ci sono tanti ma, mentre lo fanno devono fare i conti con i retaggi negativi che sopravvivono, con la mafia che resiste, con la violenza che le colpisce, spesso dentro le mura di casa, spesso fuori, sempre più frequentemente sulla Rete, sui social network, piazze virtuali di gossip e di prevaricazioni che fanno male da morire.

Ma mica si arrendono le donne, no. Ecco l’ultimo progetto in ordine di tempo con cui un fotografo e una look maker, lanciano proprio dalla Sicilia una campagna di liberazione. Una serie scatti fotografici nati dalla collaborazione tra Francesco Lo Bianco e Sonia Sangiorgio, mettono la bellezza al servizio della libertà, volti di donne belle e sofferenti diventano il racconto di una Sicilia in cui ancora troppo diffusa è la tentazione di non parlare, di voltarsi dall’altra parte, far finta di nulla.

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«La Sicilia è femmina – spiega Sonia Sangiorgio – come i volti femminili che sono stati fotografati, volti affranti, sofferenti, imprigionati da pesanti catene ma con occhi colmi di speranza. Il progetto vuol far comprendere come non possono che essere le donne a fare ripartire un’azione di pulizia sociale e culturale dentro una terra logorata dalla violenza mafiosa. Violenza che, con il suo tessuto omertoso, penetra negli anfratti della nostra esistenza quotidiana, facendosi largo in mezzo a tantissime criticità di ordine sociale ed economico. Ma questa terra, però, possiede, come ci raccontano le storie di tante donne che hanno anche pagato con la loro vita impegno e senso di ribellione, un immensa e ferrea forza di volontà di resistere. Quindi serve lavorare tutti insieme per ripartire, con azioni comuni che utilizzino tutte le forme di comunicazione. Ripartire anche da quello che più ci appartiene, la natura e la bellezza che si manifestano attraverso l’arte di chi vuole urlare la propria libertà di esprimersi. Noi abbiamo tratto questa forza dalla bellezza delle donne truccate e fotografate».

Si può facilmente giocare con le parole e con le suggestioni, il progetto vuole togliere il trucco ad ogni forma di prevaricazione. Perché, alla fine, la violenza è tutta uguale, le resistenze culturali una comodità per società stanche e attorcigliate su se stesse e su un egoismo dilagante. Così Francesco Lo Bianco allarga giustamente il quadro e spiega sino dove si è voluto spingere il suo obiettivo.

 

«Quando Sonia mi parlò di questo progetto fui subito colpito dalla sua idea. Il mio intento, però, attraverso gli scatti non era solo quello di parlare di mafia o della donna con i suoi codici di omertà, da cui Sonia era partita nella sua idea iniziale. Volevo indagare un fenomeno più ampio che riguarda sentimenti come l’intolleranza e l’impotenza, che sempre più stanno caratterizzando questo periodo storico. I fatti accadono più velocemente e sempre più stiamo assistendo alle incapacità dei singoli di elaborare i problemi. Così come il fenomeno mafioso insidia le coscienze delle vittime rendendole complici a causa di una sub cultura che spinge a proteggere chi e di cosa conosci, così sta accadendo adesso proprio nella Europa più evoluta. Direi un triste dilagare del fenomeno siciliano. Oggi in alcuni luoghi si vive di paura, di intolleranza e di incapacità di difendersi. E di sopraffazione».

E tornano le donne soggetti di una rivolta che dal cuore della Sicilia va estesa al cuore di un’Europa oggi sempre più xenofoba, incattivita, spaventata. «Donna, femmina, madre, sorella, amante, moglie, prostituta, queste è la Sicilia – dice ancora Sonia Sangiorgio – Labbra cucite, polsi legati da un rosario, sbarre e polsi stretti dalle corde della mafia e dal secolare non governo o malgoverno da parte di uno Stato spesso latitante. E’ proprio qui nella bellezza violentata, ammutolita, sacrificata e quasi sempre luttuosa, che prende voce come urlo assordante, un modo per scandalizzare, scuotere e svegliare, che si denuncia ancora una volta attraverso la nostra arte».

Il make up sociale e civile di Sonia, la fotografia profonda e toccante di Francesco, dentro questo lavoro l’anima di chi non si rassegna. Come 50 anni fa, quando quel gesto di Franca Viola non solo trascinò un po’ oltre il medioevo questa terra, ma provocò un mutamento legislativo. Quel no alle nozze riparatrici portò anni dopo anche all’abrogazione del delitto d’onore, altra aberrazione del vecchio codice penale e delle cattive coscienze. E dentro la storia delle donne siciliane, nel frattempo, anche quelle cadute per mano della mafia, uccise o “suicidate”.

 

Questo progetto, dunque, parte dalla Sicilia, con i suoi scatti, il suo backstage, dalle storie che racconta, e promette di estendersi presto, di diventare con il suo messaggio una testimonianza da spendere oltre i confini. Oltre tutti i confini, dove serva la prova che di lacci ai polsi, labbra cucite, sguardi distratti, omissioni e di reticenze davvero non se ne può più. Parola di donna. E c’è da crederci.

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