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Il Piano Nazionale AIDS tra prevenzione e futuro

Di Redazione |

Ravenna, 27 gennaio 2022 – Il Piano Nazionale PNAIDS (HIV e AIDS), approvato con intesa nella Conferenza Stato-Regioni del 26 ottobre 2017, prevede interventi di prevenzione, informazione, ricerca, assistenza, cura, sostegno all’attività di volontariato, sorveglianza epidemiologica, formazione e aggiornamento degli operatori, strategie di informazione in favore sia della popolazione generale, sia di quella con comportamenti a rischio. Non solo. L’attenzione in particolare è focalizzata sulla lotta alla stigmatizzazione e sulle attività di prevenzione. Fra queste ultime, le attuali evidenze scientifiche attribuiscono un ruolo fondamentale all’estensione come prevenzione (TasP) delle terapie antiretrovirali (ARV). Oltre a questo, esiste ancora un sommerso importante da far emergere, per poter interrompere la catena di infezioni. In quest’ottica è richiesto impegno nel favorire l’accesso al test, la diagnosi precoce, l’aderenza al percorso di cura e in particolare al trattamento.

“L’identificazione precoce dell’infezione da HIV nella popolazione infetta e inconsapevole è tra gli obiettivi non solo del Piano Nazionale AIDS 2017-2019, ma anche tra gli obiettivi per il controllo delle infezioni croniche dei Piani Regionali e Locali di Prevenzione”, puntualizza LuciaFerrara, Lecturer Government Health & Not for profit Division, SDA Bocconi. “Tuttavia, nonostante sia disponibile l’accesso al test attraverso vari canali, una proporzione elevata delle nuove diagnosi viene ancora effettuata tardivamente e circa il 17% dei portatori non ne è consapevole. Il progetto APRI aveva fatto emergere un accesso al test abbastanza capillare in tutte le Regioni: nel 79% delle Regioni italiane sono stati effettuati dei programmi regionali per favorire l’accesso al test e il counselling, tuttavia è ancora ridotto il ricorso a progetti sperimentali per favorire l’accesso al test, i modelli organizzativi sono ancora molto differenti anche all’interno della stessa regione e il 20% delle Regioni non esegue il test HIV nei servizi delle tossicodipendenze. Occorre pertanto continuare a lavorare sulle condizioni per aumentare il tasso di screening a livello territoriale, agendo sulle connessioni tra servizi alla persona e alla comunità e facendo leva sull’esperienza Covid-19 che ha dimostrato che, con la giusta organizzazione di aspetti logistici e distributivi, è possibile realizzare una grande quantità di test in breve tempo e in modo efficace. Non solo. È necessario potenziare e riconoscere il coinvolgimento nelle attività di screening e testing HIV di attori, quali il terzo settore e le associazioni di categoria, che sono stati tradizionalmente in prima linea nella lotta dell’HIV e sfruttare le opportunità connesse con il PNRR e l’attuale proposta di riforma del Distretto e dei servizi territoriali, che attribuiscono un ruolo centrale alla comunità”.

Sul tema si è espressa anche Valentina Solfrini, Servizio Assistenza Territoriale, Area Farmaci e Dispositivi Medici, Regione Emilia-Romagna: “Mi sembra rilevante e importante ragionare su quali sono le modalità di prevenzione, diagnosi e cura dell’HIV in regione Emilia Romagna attraverso alcuni elementi fondamentali. Uno è che si riunisce regolarmente un gruppo regionale di coordinamento sull’HIV che deve promuovere la diffusione di strumenti di comunicazione, documenti di descrizione degli interventi per aumentare la prevenzione, il trattamento, la precocità della diagnosi. Tutto questo nelle indicazioni di misurare i dati di come ci si confronta tra aziende sanitarie sul numero di pazienti gestiti, di persone sottoposte ai test di prevenzione e di precoce diagnostica. La regione Emilia Romagna, quindi, ha un sistema molto importante e rilevante di gestione di tutto quello che dovrebbe dare applicazione anche al Piano Nazionale PNAIDS (HIV e AIDS), recentemente deliberato”.

Ufficio stampa Motore Sanità

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