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Il regista Maresco: «La Rai ha censurato il mio film»

Di Redazione |

PALERMO «Siamo qui per denunciare una censura». Il regista Franco Maresco – in conferenza stampa insieme al suo avvocato, l’ex pm Antonio Ingroia, e alla fotografa Letizia Battaglia, coprotagonista di «La mafia non è più quella di una volta» – dice subito che non ha mandato giù la decisione di Paolo Del Brocco, direttore di Rai Cinema, di togliere il logo al film, vincitore lo scorso anno del Premio speciale della giuria alla Mostra del cinema di Venezia, rinnegando un’opera che aveva deciso di co-produrre con Rean Mazzone. Il documentario è incentrato sull’attività dell’impresario dello spettacolo Ciccio Mira (che dichiara di nutrire «simpatia per la mafia di una volta”), alle prese con l’organizzazione di iniziative per il venticinquesimo anniversario della strage di via D’Amelio. Un racconto grottesco, in cui Mira e la sua corte di cantanti neomelodici s’inoltrano nella Palermo delle periferie e finiscono per esibirsi in una desolata piazza con un solo spettatore. «La Rai – dice Maresco – ha ritenuto che il mio lavoro fosse irrispettoso nei confronti del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, per un paio di stravaganti aneddoti raccontati da Mira, e nonostante due tagli che abbiamo effettuato alla vigilia della proiezione a Venezia. Del Brocco è stato più realista del re: Mattarella non ha avuto nulla da ridire sul film, che domani sera sarà proiettato in un’iniziativa dell’Anm di Trapani proprio in occasione dell’anniversario della strage di via D’Amelio» e da domani sarà visibile sulla piattaforma «MioCinema» per la rassegna «Ridere è Cosa nostra».

Per Ingroia la decisione di Rai Cinema si configura come un intervento «tecnicamente censorio. L’acquisto dei diritti comporta per la Rai il dovere di promuovere e diffondere il film, non di danneggiarlo. Il comportamento del presidente della Repubblica è stato ineccepibile – ha aggiunto -. Il suo unico intervento riguarda il processo sulla trattativa Stato-mafia (nel film c’è un passaggio in cui Letizia Battaglia si dice perplessa per il silenzio del Colle, ndr) e Mattarella afferma che le sentenze non si commentano. Una posizione corretta in linea di principio, ma la trattativa non è una vicenda ordinaria». Ingroia ha spiegato che se Rai Cinema non rivede le proprie posizioni, «saremo costretti a intraprendere le vie legali, sul piano civile a anche penale».

Infine, Maresco lancia un appello al presidente della Repubblica: «Da garante della Costituzione, dica se la violazione dell’art.21 è compatibile con il ruolo della Rai». E chiede ai colleghi registi di far sentire la loro voce: «E’ in gioco la libertà d’espressione». 

Rai Cinema ricostruisce così i fatti: «Nel luglio del 2019, Maresco ha di fatto evitato di mostrare il film ai produttori nella sua versione finale, presentandolo di sua iniziativa al festival di Venezia, nella consapevolezza, come lui stesso ha ammesso verbalmente poco dopo, che non sarebbe mai stato approvato. Si rendeva già perfettamente conto del limite superato. Al termine di un lungo e tormentato processo produttivo il film – non ancora visionato da Rai Cinema nella sua versione definitiva – è stato inviato direttamente dal regista al festival di Venezia. Quando Rai Cinema ha potuto finalmente vederne la versione presentata al festival, ha rilevato che il film era rispondente solo in parte al progetto condiviso (specificamente alla parte che coinvolgeva Letizia Battaglia) e che conteneva elementi non condivisi che seminavano dubbi e illazioni potenzialmente offensivi nei confronti della figura del Presidente della Repubblica, alludendo perfino ad un silenzio omertoso del Presidente. Tali elementi hanno indotto Rai Cinema a inibire l’utilizzo del proprio logo aziendale, senza che questo peraltro precludesse in alcun modo la presentazione del film alla Mostra del Cinema di Venezia 2019 e la sua distribuzione nelle sale».

La società, «che fa parte del servizio pubblico, ha semplicemente esercitato la propria facoltà di esprimere dissenso rispetto a contenuti non condivisi a priori, non condivisibili e ritenuti potenzialmente offensivi, utilizzando le proprie prerogative contrattuali. Sostenere quindi che il film abbia subìto una censura da parte di Rai Cinema o che il comportamento della società abbia impedito la libertà di espressione è del tutto fuori luogo e non corrisponde alla verità. Quale censura o limitazione del diritto di manifestazione di pensiero (questo dice l’art. 21) sarebbe stata attuata nei confronti di Maresco visto che il film non è stato bloccato in alcun modo, è stato presentato liberamente al festival di Venezia, non è stato mai criticato pubblicamente da Rai Cinema, ed è stato firmato dalla società il mandato di distribuzione per consentire che il film uscisse nelle sale? La mafia non è più quella di una volta è stato distribuito nelle sale il 12 settembre scorso con un’ampia visibilità. Dunque, la libertà del regista è sempre stata rispettata. Ora semmai è il contrario: è il regista che non rispetta la libertà di Rai Cinema di condividere o meno scelte editoriali discutibili e non condivise preventivamente. Lo stesso produttore maggioritario ha compreso la posizione di Rai Cinema escludendo formalmente qualsiasi atteggiamento censorio».

Rai Cinema, conclude la nota, «ha sempre lasciato ai propri autori e registi la più ampia libertà espressiva, in qualsiasi circostanza e, in particolare, rispetto allo sviluppo di progetti su temi sensibili e che incidono sulla coscienza civile, come la violenza, la prevaricazione dei diritti dei cittadini, delle donne e dell’infanzia, oltre che sulla mafia e sulla criminalità organizzata. Non ha mai temuto il pericolo di affrontare temi delicati e spinosi, e non si è mai tirata indietro di fronte alla possibilità di affrontare argomenti complessi e difficili. Lo dimostra, nei fatti, la storia della Ssocietà. In oltre venti di anni di lavoro, e dopo 852 film e 490 documentari, è la prima volta che Rai Cinema si trova in questa situazione e che le vengono rivolte accuse di questo tono».

In conclusione, «confermando la piena correttezza e legittimità del suo operato, Rai Cinema esprime grande rammarico per le esternazioni prive di qualsiasi fondamento del signor Franco Maresco, autore che è stato sempre sostenuto anche in passato attraverso la produzione di molti suoi lavori come Gli uomini di questa città io li conosco – Vita e teatro di Franco Scaldati, Come inguaiammo il cinema italiano – La vera storia di Franco e Ciccio, Il ritorno di Cagliostro, Io sono Tony Scott, l’attivazione de Il regista della mafia. Troviamo risibile e assurdo, dunque, accusare di censura, una società come Rai Cinema che sul tema delle mafie e della criminalità ha realizzato, negli anni, più di 60 tra film e documentari anche se Maresco, con una espressione di cattivo gusto, li ha definiti al 90% delle ‘cagate mostruosè».

Di qui una lunga lista di titoli, da Placido Rizzotto di Pasquale Scimeca ai Cento Passi di Marco Tullio Giordana, da Gomorra di Matteo Garrone al Traditore di Marco Bellocchio, “opere che hanno raccolto apprezzamenti e riconoscimenti a livello nazionale ed internazionale, non ultima ai recenti Nastri d’Argento, del premio Nastro della Legalità assegnato al film Aspromonte. La terra degli ultimi di Mimmo Calopresti, un riconoscimento nato proprio per sottolineare il valore di denuncia del «cinema civile».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA