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«Non solo Provenzano, Mori depistò anche su Santapaola»

«Non solo Provenzano, Mori depistò anche su Santapaola»

Al processo d’Appello per la mancata cattura di “Binnu”, il Pg Scapinato presenta nuove prove contro il generale e gli apparati investigastivi del Ros: ci sarebbero zone d’ombra e strategie eversive

Di Redazione |

PALERMO – «Nuove prove» contro il generale Mario Mori sono state presentate dal pg Roberto Scarpinato all’apertura del processo d’appello per la mancata cattura del boss Bernardo Provenzano. Scarpinato ha chiesto la riapertura dell’istruzione dibattimentale e l’acquisizione di numerosi documenti, tra cui atti «classificati» dei servizi segreti, sulla carriera di Mori e su vari episodi dai quali emergerebbero pratiche investigative «opache». Tra i nuovi episodi contestati dall’accusa anche una condotta depistante che nel 1993 impedì la cattura a Terme Vigliatore, nel Messinese, del boss catanese Nitto Santapaola. Il criterio ispiratore dell’acquisizione delle «nuove prove», fa riferimento al fatto che, secondo Scarpinato, Mori avrebbe operato per «finalità occulte», per «disattendere doveri istituzionali» come ufficiale di polizia giudiziaria e venendo meno «all’obbligo di lealtà» nei confronti dell’autorità giudiziaria. Nel processo di primo grado il generale Mori e il suo braccio destro Mauro Obinu sono stati assolti «perché il fatto non costituisce reato». Ma ora sarebbero venute alla luce – come ha detto il sostituto pg Luigi Patronaggio nella seconda parte dell’intervento dell’accusa – molte zone d’ombra nel comportamento degli apparati investigativi del Ros e del generale Mario Mori, in particolare nelle vicende eversive culminate con stragi e attentati e nei rapporti tra mafia, massoneria e servi segreti deviati. «Il generale Mori, pur essendo venuto a conoscenza da fonti qualificate, di taluni aspetti di tale complessa strategia della tensione – ha detto Patronaggio – non solo non ha svolto alcuna attività investigativa ma non si è neppure attivato per allertare le istituzioni come fecero lo Sco e la Dia». Per dimostrare le nuove tesi di accusa, il pg ha chiesto tra l’altro la citazione di numerosi testi e vari pentiti tra i quali Gaspare Spatuzza, Sergio Flamia, Antonino Giuffré, Stefano Lo Verso e Maurizio Avola. L’accusa ha anche chiesto, come aveva preannunciato, l’acquisizione di documenti e testimonianze sul cosiddetto “protocollo Farfalla”: un accordo tra servizi e Dap per l’uso riservato di informazioni sui detenuti che avrebbe escluso il controllo della magistratura. Ecco gli episodi – secondo la Procura generale – in cui si sarebbero saldati legami tra servizi deviati, mafia, massoneria e gruppi neofascisti.   MANCATA CATTURA DI PROVENZANO – I pg hanno chiesto di acquisire relazioni e documenti dai quali risulterebbe che Mori e Obinu avrebbero sviluppato “con notevolissimo ritardo” le informazioni del covo del boss a Mezzojuso (Palermo) date dal confidente Luigi Ilardo al colonnello Michele Riccio.   LATITANZA DI NITTO SANTAPAOLA – La stessa condotta depistante sarebbe stata attuata dagli uomini di Mori, all’epoca vice comandante del Ros, nell’aprile 1993. Il boss catanese era latitante a Terme Vigliatore, nel Messinese, ma un’azione improvvidamente spettacolare del Ros in una villa vicino al covo lo avrebbe fatto fuggire.   RAPPORTI CON P2 E GRUPPI EVERSIVI – I pg hanno riletto una parte della carriera di Mori nei servizi segreti sostenendo che faceva opera di reclutamento per la P2, “eseguiva intercettazioni abusive sui suoi superiori”, “stilava esposti anonimi” nella sede dell’agenzia Op di Mino Pecorelli, poi assassinato. Mori avrebbe tenuto altri rapporti “opachi” con il gruppo neofascista della “Rosa dei venti” negli anni Settanta.   FALLITO ATTENTATO DELL’ADDAURA – Altre ombre su Mori vengono rintracciate nella vicenda del fallito attentato del 1989 a Giovanni Falcone nella villa dell’Addaura. Mori avrebbe fatto circolare la tesi non di un attentato ma di un “tentativo intimidatorio”.   PROTOCOLLO “FARFALLA” –  È il documento, di cui è stata chiesta l’acquisizione, con cui nel 2004 il Sisde, allora diretto da Mori, e il Dap guidato da Giovanni Tinebra stabilirono un accordo per l’uso riservato di informazioni sui detenuti.   CITATI 12 PENTITI – Sono dodici i collaboratori di giustizia citati dai pg: Antonino Giuffré, Gaspare Spatuzza, Leonardo Messina, Giovanni Brusca, Gioacchino La Barbera, Francesco Di Carlo, Paolo Bellini, Fabio Tranchina, Stefano Lo Verso, Filippo Malvagna, Maurizio Avola e Antonino Galliano.   DOCUMENTI E TESTI – Numerosi sono i documenti, alcuni “classificati” come segreti, e i testi citati dai pg. Tra questi un “infiltrato”, Paolo Bellini, vari investigatori, l’ex giudice Giovanni Tamburino (”Rosa dei venti”) e alcune “figure di raccordo” tra servizi segreti e massoneria.   La difesa: «L’accusa vuole rileggere la storia d’Italia» «La strategia politico-giudiziaria dell’accusa è cambiata» hanno detto i difensori alla fine dell’udienza del processo d’appello al generale Mario Mori. «Il pg – sostiene il prof. Enzo Musco – ha presentato un elenco infinito di richieste di testimonianze e di acquisizioni di atti e documenti. È una rassegna di temi così vasta che temo si voglia rileggere la storia d’Italia degli ultimi 40 anni». «Mi sembra chiaro – ha aggiunto l’avvocato Basilio Milio – che si tenti di ampliare il tema del processo». Il processo è stato rinviato dal presidente Salvatore Di Vitale al 27 ottobre.

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