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Il progetto teatrale è diventato un cortometraggio

Sognando Lampedusa

Nel progetto di Micaela Casalboni e Moez Mrabetè l’isola siciliana, cuore del Mediterraneo, viene vista come specchio dei sogni, delle frustrazioni e delle speranze di due terre, Tunisia e Italia

Di Andrea Di Falco |

Lampedusa è miraggio e incubo, specchio dei sogni, delle frustrazioni e delle speranze di due terre, la Tunisia e l’Italia, divise dal Mediterraneo, unite dalla piccola isola. Un sentiero di scarpe collega le due rive: da Lampedusa alla Tunisia. Simbolo dei naufragi dell’umanità migrante. È questa l’immagine-chiave di Lampedusa Mirrors, un progetto teatrale che diventa cinema breve. Un cortometraggio documentario di 25 minuti, sottotitolato in francese e in inglese, “dedicato a chi ha fatto la traversata o vorrebbe farla”. Girato nel 2015, tra l’Italia e l’Africa, il film racconta le ragioni di chi vuole o deve partire lasciando la propria terra. La messa in scena dell’orrore viene mostrata attraverso la realizzazione dei laboratori e degli scambi culturali e artistici tra i due Paesi.

Lampedusa Mirrors

Un momento di “Lampedusa Mirrors”

Il documentario, che ha potuto contare su un budget di appena 7 mila euro, ha coinvolto un’ottantina persone, tra giovani attori ed educatori, italiani e tunisini, tra gli 11 e i 30 anni. Le testimonianze dirette sono alla base del progetto. Il racconto filmico è diviso in tre capitoli: Ossessione, che narra la traversata clandestina dalla Tunisia alla Sicilia; Lampedusa, che mostra l’incontro di due popoli, gli isolani e i migranti; Madreterra, che rappresenta il legame di ciascuno con il proprio paese d’origine. La regia teatrale è firmata dalla 46enne riminese Micaela Casalboni e dal 40enne tunisino Moez Mrabet. La regia video è curata dal collettivo Moviementi, formato da Livio D’Agrezio e Silvia Lorenzetti. La produzione è opera della compagnia bolognese del Teatro dell’Argine di San Lazzaro di Savena e dell’Eclosion d’Artistes di Tunisi, in collaborazione con due istituzioni tunisine: l’Institut Supérior d’Art Dramatique e l’Association l’Art vivant, nell’ambito del programma internazionale Tandem Shaml – Cultural Managers Exchange, che favorisce scambi fra l’Europa e il mondo arabo.

Lampedusa Mirrors è stato proiettato a Tunisi, al Teatro underground Mass’Art e al Centro giovanile Hraria, al Terra di Tutti Film Festival di Bologna, all’European Cultural Foundation di Amsterdam, al Bozart di Bruxelles, in alcune sale d’essai di Berlino e di Kiev e in una serie di scuole italiane e tunisine. Lo scorso 17 gennaio il film è stato mostrato al Goethe-Institut di Palermo, nel corso della rassegna cinematografica Hollywood è lontana. Sono previste altre proiezioni internazionali ma manca il teatro naturale. Infatti, il documentario non è stato ancora presentato a Lampedusa. Eppure il progetto ha suscitato l’interesse di numerosi studiosi europei. Tra i quali figura anche lo scrittore francese François Matarasso, che si occupa di arte, politiche culturali e teatro di comunità. Il ricercatore ha dedicato proprio al film una parte del suo nuovo libro, A Restless Art. Il volume sarà pubblicato nell’ottobre di quest’anno.

«Lampedusa Mirrors – sostiene Micaela Casalboni – è un’indagine ambiziosa, condotta con lo scopo di comprendere il significato della parola “Lampedusa”, attraverso gli strumenti del teatro all’interno di comunità diverse: i cittadini di Lampedusa, gli adolescenti delle periferie tunisine e delle scuole bolognesi, gli artisti professionisti. I loro racconti mostrano il dramma di queste famiglie spezzate». L’idea iniziale nasce proprio dalla visione delle scarpe galleggianti. Per la Casalboni, «le scarpe rappresentano un simbolo. Eppure, sono un oggetto concreto. Le scarpe costituiscono una testimonianza inoppugnabile di un naufragio. Un’immagine che rimanda, inevitabilmente, ai cumuli di scarpe di Auschwitz. È una visione sconvolgente, perché non si può non pensare che quelle scarpe siano state indossate da bambini, donne e uomini. Le scarpe sono il sogno di arrivare alla riva lontana. Un omaggio a quelli che non ce l’hanno fatta».Secondo la Casalboni, «il teatro – in particolare quello sociale – è il medium naturale per affrontare la tragedia dei migranti. Il motivo è semplice: il teatro rappresenta una pratica di convivenza civile».

andreadifalco74@gmail.com

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