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IL GIORNO DOPO

Epifanio, i due Giuseppe, Roberto e Ignazio: così sono morti per aiutarsi i 5 operai della strage di Casteldaccia

Un sesto collega è in gravissime condizioni. Inspiegabile l'assenza di maschere

Di Redazione |

Sollevando un tombino lungo la statale 113 che collega Casteldaccia a Palermo, una strada larga appena una decina di metri con villette su entrambi i lati, tre operai si sono calati all’interno del locale della fogna, profondo circa 5 metri, per effettuare lavori di manutenzione per conto della ditta Quadrifoglio Srl, che aveva vinto l’appalto dell’Amap, l’azienda municipalizzata di Palermo. Ma subito dopo avere fatto i primi scalini, con la pompa ancora in mano, i tre si sono sentiti male perdendo i sensi. Non sentendoli, altri due colleghi, sempre scendendo dal tombino, hanno raggiunto il solaio in cemento per capire cosa stesse succedendo, ma anche loro sono rimasti intrappolati: l’idrogeno solforato, dieci volte sopra il limite consentito, li ha storditi subito.

Così sono morti uno ad uno nel tentativo di aiutarsi le cinque vittime dell’ennesima strage sul lavoro. Una strage che ricorda molto da vicino quella avvenuta a Mineo, nel Catanese, l’11 giugno del 2008, in cui persero la vita sei persone mentre pulivano la vasca di un depuratore.

Chi erano

I corpi delle cinque vittime Epifanio Alsazia, 71 anni di Partinico, contitolare della ditta Quadrifoglio group srl di Partinico, che aveva vinto l’appalto dell’Amap; gli operai Giuseppe Miraglia, 47 anni, originario di San Cipirello (Palermo), Roberto Raneri, 51 anni di Alcamo (Trapani), Ignazio Giordano, 59 anni (Partinico) e Giuseppe La Barbera, 28 anni, di Palermo (lavoratore interinale dell’Amap) sono stati portati all’istituto di medicina legale del Policlinico.

Anche a Casteldaccia le vittime potevano essere sei. Perché un sesto operaio – Domenico Viola, 62 anni – che si trovava all’esterno s’è precipitato per soccorrere i colleghi ma subito dopo avere inalato il gas killer è riuscito a risalire in superficie, salvandosi, anche se le sue condizioni sono gravi, ed è ricoverato al Policlinico di Palermo.

«Le sue condizioni sono gravissime per il danno multiorgano da tossicità diretta e da insufficienza polmonare con distress respiratorio» hanno riferito questa mattina i sanitari del Policlinico. Viola è stato l’ultimo ad entrare tra i cunicoli e il primo ad essere preso dai vigili del fuoco e intubato dai sanitari del 118. A scampare alla tragedia, costata la vita a cinque colleghi, sono stati Giovanni D’Aleo, 44 anni, Giuseppe Scavuzzo, 39 anni, e Paolo Sciortino, di 35. I tre sono stati sentiti dagli agenti della squadra mobile di Palermo che indagano coordinati dalla procura di Termini Imerese diretta da Ambrogio Cartosio.

Le indagini

La Procura ha posto i sigilli ai cancelli dell’impianto fognario in cui ieri pomeriggio sono morti cinque operai intossicati dalle esalazioni di idrogeno solforoso. I lavoratori sono rimasti intrappolati nella vasca interrata dell’impianto di sollevamento delle acque reflue dell’Azienda municipale acquedotti (Amap) sulla Statale di Casteldaccia, mentre stavano eseguendo dei lavori di manutenzione nella struttura. I lavori lungo la strada statale 113 erano stati predisposti a seguito delle ripetute segnalazioni degli ultimi giorni sulle anomalie della rete fognaria, nel tratto tra l’intersezione con via della Rotonda e la stazione di sollevamento denominata «Vini Corvo».

Gli investigatori stanno cercando di ricostruire tutto quello che è successo in quelle drammatiche ore a Casteldaccia per accertare le responsabilità della tragedia. I vigili del fuoco i primi ad arrivare insieme ai sanitari del 118 hanno trovato i corpi delle vittime senza maschere. Una grave mancanza in operazioni delicate come quelle che stava compiendo la Quadrifoglio Group srl per conto dell’Amap. Gli stessi vertici dell’azienda partecipata del Comune di Palermo non riescono a spiegare una simile leggerezza. La presenza di gas letali per liberare le ostruzioni nelle fognature è nota.

Il gas

Oltre a non avere le maschere con filtro, i cinque operai sarebbero stati sprovvisti di tutti gli altri dispositivi di sicurezza obbligatori per legge quando si agisce in un ambiente confinato. Per operare in questi spazi è necessario inoltre utilizzare, prima di addentrarsi, il gas alert, un dispositivo che permette di rilevare inquinanti, quello che è stato utilizzato dai Vigili del fuoco prima di intervenire nella fogna.

Proprio questo strumento ha rilevato la presenza di idrogeno solforato in quantità dieci volte superiore al limite di sicurezza: è un gas prodotto dalla degradazione batterica, incolore ed estremamente tossico poiché irritante e asfissiante.

Si dovranno comunque eseguire le autopsie sui corpi per accertare le cause della morte quasi certamente provocata dall’idrogeno solforato che hanno respirato.

Gli investigatori stanno anche cercando di accertare se gli operai siano stati formati, come prevede la legge, per lavorare negli ambienti confinati e acquisire le eventuali certificazioni. Sono stati interrogati il direttore dei lavori e il responsabile della sicurezza e si sta verificando se, come prevede la normativa, il preposto fosse presente al momento della lavorazione finita in tragedia. Di fronte alle inadempienze sulla sicurezza scatta il reato penale per il datore di lavoro.

Il dolore

Il dolore è altissimo: «C’è mia figlia a casa con due bambini, sto andando da lei», dice in lacrime il suocero di Giuseppe La Barbera, l’interinale morto sottoterra che era corso in aiuto dei suoi colleghi dopo avere sentito delle urla.

«E’ una grandissima tragedia, non riesco a comprendere ancora cosa possa essere successo durante l’intervento. Sono operai che sanno quello che fanno, non credo che possano essere stati sopraffatti dalle esalazioni», ha detto Pietro Rao, sindaco di Partinico, che si è recato in via Milano, sede della società Quadrifoglio Group dove erano impiegate quattro delle vittime di Casteldaccia.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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