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L'inchiesta catanese

La maxi frode, 33 indagati e in 5 in carcere: i milioni in contanti, le Ferrari, i Rolex e i lingotti

L'operazione "Alto Livello" della Guardia di Finanza: 16 misure cautelari. Ecco come funzionava

Di Laura Distefano |

«Fatta la legge, trovato l’inganno». Un proverbio più che azzeccato per i colletti bianchi che avrebbero fatto un uso distorto della normativa sulla rete di imprese e sul distacco del personale che gli avrebbe permesso di arricchirsi e di sottrarre all’Erario in cinque anni oltre 25 milioni di euro a fronte di 61milioni di euro di profitto. Il sistema fraudolento è stato scoperchiato dagli investigatori del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della guardia di finanza di Catania, nell’operazione denominata “Alto Impatto” che ha portato all’emissione di due ordinanze del gip (una integrativa) con la disposizione di 16 misure cautelare: cinque persone sono in carcere, altre sette agli arresti domiciliari e per quattro è stato disposto l’obbligo di presentazione alla Polizia giudiziaria. Anche se gli indagati totali dell’inchiesta, coordinata dal pm Fabio Regolo, sono 33. Gli imprenditori avrebbero poi “investito” gli illeciti guadagni in Ferrari, Lamborghini, lingotti d’oro e gioielli.

Il meccanismo del distacco dei lavoratori a scopo di lucro coinvolgeva una rete di 439 società «con dipendenti, formalmente licenziati e che venivano assunti da quelle a capo della rete, che avrebbero continuato a svolgere le proprie mansioni col proprio datore di lavoro, permettendo ingenti risparmi fiscali», ha spiegato il comandante del Nucleo Pef, Diego Serra.

La frode sarebbe stata alimentata dalla creazione di ben 14 reti di impresa, di cui 37 società con funzione di «distaccanti», che operano in tutta Italia.

TUTTI I NOMI

Il gip ha disposto anche il sequestro delle quote di 37 società, di disponibilità finanziarie, di beni mobili e immobili riconducibili agli indagati per un valore complessivo di circa 29 milioni di euro.

La regia del sistema illecito è catanese. Carmelo Salvatore Di Salvo, di 53 anni, di Canicattì, che è finito in carcere è indicato dagli investigatori al vertice del sistema che si sarebbe avvalso di due studi di consulenza etnei, uno legale – Copia & Partners – e uno amministrativo – Studio Alto Impatto – per la gestione delle reti d’impresa. «La frode aveva una dimensione nazionale», ha spiegato il comandante provinciale della Gdf Antonio Raimondo.

Se Di Salvo era il capo, Mariuccia Copia, 35 anni, titolare dell’omonimo studio legale era l’organizzatrice. L’organigramma criminale si componeva poi da Gaetano Vacirca, 67 anni, responsabile delle rete commerciale, Marco Faro, consulente e responsabile dell’emissione delle fatture per le operazioni inesistenti, Andrea Varcica, per la gestione della clientela, mentre Rossella Spina e Ingrid Fichera addette alla contrattualistica. Per il riciclaggio sono emerse due figure romane: Gianluca Ius, 49 anni (titolare di fatto delle società Bellatrix Sa Holding Srl e Imprecs srl), e Fabrizio Sarra (titolare della Sarfin srl), 55 anni. Ius in più occasioni arrivava a Catania per consegnare il denaro in contanti a Di Salvo che era stato movimentato con bonifici bancari dopo l’emissione di fatture fantasma. Il giro illecito stimato è di 7 milioni e mezzo di euro. Sarra invece avrebbe saldato – con lo stesso metodo – importi per 1.200.000 euro.

Come funzionava la frode

Di Salvo e i suoi collaboratori avrebbero fondato diverse reti di imprese che avrebbero emesso FOI caricandosi di importanti debiti IVA, destinati a non essere onorati, consentendo a centinaia di società utilizzatrici della manodopera di ottenere un duplice vantaggio. Lo ha spiegato il comandante Serra: «Incrementare la flessibilità aziendale, essendosi spogliate della gestione formale dei propri lavoratori dipendenti; ridurre i costi del lavoro subordinato, potendo contare su un onere per il servizio di erogazione di personale in distacco più economico rispetto a quello da sostenere con assunzioni in proprio, tenuto conto anche della possibilità di portare in detrazione l’iva applicata alle fatture emesse dalle società distaccanti».

I numeri

Le 439 imprese distaccatarie operavano in diversi settori – logistica, turismo, alberghiero, ristorazione – si avvalevano della manodopera senza assumersi i relativi oneri previdenziali e sottraendosi agli obblighi previsti a tutela dei lavoratori (ad esempio in relazione al licenziamento). Era stato creato un sistema apparente «di un contratto “distacco di personale” previsto per i contratti di “rete tra imprese” pagando alla società distaccante contraente un costo del personale inferiore rispetto a quello ordinariamente previsto, potendo anche detrarre l’IVA come costo del servizio».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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