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Covid, l’audio-shock del dirigente della Regione ai manager: «Caricate i posti di rianimazione, se no…»

Di Redazione |

Catania. «Buongiorno, ragazzi!». È la mattina del 4 novembre scorso, il giorno del giudizio. Nella notte appena trascorsa, Conte ha firmato il Dpcm per arginare la seconda ondata del Covid. E il ministro Speranza sta lavorando all’ordinanza con la mappa delle regioni la Sicilia s’interroga. E teme il verdetto di Roma, che arriverà in serata. Intanto, Mario La Rocca, il super burocrate al vertice dell’assessorato regionale alla Salute, invia alcuni messaggi vocali nella chat con tutti i manager di Asp e ospedali dell’Isola. Uno di questi audio è esplicito: «Oggi su Cross (la piattaforma nazionale della Protezione civile) dev’essere calato tutto il primo step al 15 novembre. Non sento cazzi, perché oggi faranno le valutazioni e in funzione dei posti letto di terapia intensiva decideranno in quale fascia la Sicilia risiede». In quel momento la Sicilia è in ritardo: al 28 ottobre appena 177 posti di rianimazione Covid, quasi cento in meno dei 272 del piano che l’assessore Ruggero Razza chiede di anticipare. E il dirigente del dipartimento Pianificazione strategica pressa per sui vertici sanitari per scongiurare il peggio: «Appena stasera ci chiudono, ognuno sarà responsabile di quello che la Sicilia subirà in termini di restrizioni. Ovviamente l’assessore andrà a controllare chi ha calato cosa. Perché stasera – è la diffida finale – si conteranno i morti e i feriti…».

Cosa voleva dire La Rocca? Cosa teme di non trovare, la sera, sul database? E il piano del 15 novembre che chiede di «calare» corrisponde all’effettiva disponibilità di posti in quel momento? Riascoltando più volte l’audio, il tono è piuttosto aggressivo. Ma da qui a ipotizzare che il suo fosse un invito a non comunicare dati veri ce ne passa. Qualcuno, però, fra i destinatari in chat, non l’ha presa bene. E, pur giurando sulla correttezza dei propri dati, parla di «un pressing indebito, perché il mancato caricamento dei posti non è mai un capriccio: una rianimazione non si fa con un letto e un ventilatore». Ma c’è chi dubita sugli altri colleghi.

Da quel momento in poi, comunque, i numeri siciliani crescono. Dai 177 posti in rianimazione e 998 in reparto censiti a fine ottobre, si passa rispettivamente a 340 e 1.899 dell’11 novembre, una settimana dopo la strigliata di La Rocca. Una crescita non indifferente, di cui il governo nazionale non può non tenere conto. E infatti il tasso di saturazione dei reparti Covid, nonostante il moltiplicarsi dei ricoverati, regge sotto la soglia d’allerta. La Regione, un paio di giorni fa, comunica a Roma 817 posti complessivi di rianimazione. Si arriva al report di Agenas, di ieri pomeriggio, in cui sono addirittura di più: 1.031.

I dati della Regione corrispondono alla realtà? Sì, fino a prova contraria. Ma c’è chi non si fida. Come il Cimo, sindacato dei medici ospedalieri, che dopo un monitoraggio reputa «non rispondenti alla realtà» i posti forniti dall’assessorato: in rianimazione «ce ne sono 210 in meno degli 817 sbandierati». Analoghe perplessità emergono da un report curato dal comparto Medici della Fp-Cgil regionale. Con un caso limite: nel Covid-hospital di Petralia Sottana, fino a qualche giorno fa, c’erano soltanto 10 dei 50 posti di degenza ufficializzati. E nessuno dei dieci di terapia intensiva che risultano attivi.

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