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Depistaggio, il cruccio di Totò Riina contro i Madonia e quel pensiero di uccidere La Barbera

La procura generale di Caltanissetta ha depositato le intercettazioni del boss corleonese ad Opera: avrebbe voluto uccidere il superpoliziotto

Di Laura Mendola |

Dopo 21 anni dalla morte di Arnaldo La Barbera ruotano attorno al personaggio «controverso» i misteri della strage di via D’Amelio: dalla borsa del giudice Paolo Borsellino che sarebbe stata vista dentro la sua stanza la stessa sera della strage (anche se il superpoliziotto è arrivato a tarda notte a Palermo, ndr) al mistero della sparizione dell’agenda rossa che la procura di Caltanissetta sta cercando, tanto da iscrivere nel registro degli indagati la figlia e la moglie.

Un uomo misterioso che Totò Riina avrebbe voluto uccidere. Emerge dall’intercettazione dell’8 novembre del 2013 mentre era in carcere all’Opera in compagnia di Alberto Lorusso, l’uomo della Sacra Corona Unita che ha raccolto le confidenze del “capo dei capi”. A lui Riina ricorda che «i Madonia (della famiglia di Resuttana, ndr) erano confidenti dei servizi segreti e loro convincevano Riina a lasciare il commissario La Barbera, gli dicevano non lo dovete toccare». Un cruccio quello del boss corleonese che andava ripetendo: «Ma poi come mai non lo hanno ucciso… non lo so, ma lo vorrei sapere perché non l’hanno ammazzato. Il poliziotto… carabiniere… ammazzare e non l’hanno ammazzato». L’intercettazione è stata depositata nel processo che si è celebrato a Caltanissetta a carico di Riina per il progetto omicidiario nei confronti del pm Nino Di Matteo, il magistrato che reggeva l’accusa nell’ambito del processo a Palermo sulla trattativa “Stato – mafia”. E ora la procura generale nissena l’ha depositata nell’ambito del processo d’appello sul cosiddetto “depistaggio” per l’eccidio del 19 luglio del ‘92 che vede sul banco degli imputati i già poliziotti Mario Bo e i suoi fedelissimi collaboratori Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. Per i primi due in primo grado è caduta l’aggravante di aver agevolato Cosa Nostra ed è arrivata la prescrizione per la calunnia. Assolto invece Ribaudo.

Ma non è l’unico segnale che Riina avrebbe voluto dare al superpoliziotto che a Palermo avrebbe fatto la bella vita dedicando sia al lavoro (porta la sua firma l’arresto di Totuccio Contorno) e avrebbe anche depistato le indagini sulla strage di via D’Amelio costruendo il falso collaboratore di giustizia Vincenzo Scarantino, lo stesso che quattro giorni dopo il primo verbale – cioè il 28 luglio del 1994 – viene condotto a Palermo per effettuare i primi sopralluoghi «ma nel suo primo racconto – ha detto ieri in aula il pg Maurizio Bonaccorsi – non c’era alcun riferimento alla strage di via D’Amelio». Sopralluogo che è stato eseguito da Maurizio Zerilli, il poliziotto dei «non ricordo» che rischia di finire sul banco degli imputati.Di far fuori La Barbera era il “comando” che Riina affidò ai suoi, ma nessuno mai ha provato a premere il grilletto contro il dirigente della Polizia «che interessava ai Madonia», ha detto il collaboratore di giustizia Francesco Onorato.

Ora i familiari del prefetto La Barbera sono al centro di un’altra vicenda investigativa sempre collegata alla strage di via D’Amelio. L’avvocato Fabio Repici, che rappresenta Salvatore Borsellino, con una memoria ha chiesto alla Corte d’appello di Caltanissetta presieduta da Giovambattista Tona di sentire la figlia Serena La Barbera e una sua amica che avrebbe ricevuto le confidenze sull’agenda rossa. E poi ha chiesto di sentire in aula Gioacchino Genchi. Richieste che secondo il pg non devono essere accolte dalla Corte.Sull’indagine relativa all’agenda rossa per il momento vige il più stretto riserbo da parte della Procura nissena anche se con il passare del tempo non èì escluso che possano essere depositati nuovi documenti su La Barbera, il personaggio controverso che dopo 21 anni dalla sua morte fa parlare ancora di sé. Ma non è l’unico mistero che ruota attorno alla strage di via D’Amelio con i poliziotti in servizio nel ‘92 alla Squadra Mobile di Palermo che dopo anni ricostruiscono le ore successive all’eccidio. E poi c’e quel filo investigativo di mafia-appalti, il dossier dei Ros che riletto a distanza di 33 anni dal deposito avrebbe potuto cambiare il volto della Sicilia dove le collusioni sono sempre state al centro dei più grandi misteri giudiziari italiani.

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